Povertà energetica in Italia: gli anziani una categoria a rischio

Laboratorio Metrologico Ternano

Povertà energetica in Italia: gli anziani una categoria a rischio

5 Giugno 2019 Articoli bonus energia povertà energetica 0

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In Europa, da più di un decennio, si assiste alla crescita della “povertà energetica”, una nuova forma di povertà e di rischio sociale con cui s’intende la difficoltà delle famiglie ad acquistare un paniere minimo di servizi energetici, con effetti sul mantenimento di uno standard di vita dignitoso, sulla salute e sulla mortalità.

Di recente è stato proposto un indice di povertà energetica riferito all’ambito domesticoEuropean Domestic Energy Poverty Index – Edepi (Open Exp, gennaio 2019), che attribuisce a ben 17 Paesi dell’Unione, in prevalenza delle aree meridionali e orientali, livelli molto alti di povertà energetica: l’Italia è tra questi e si colloca al 19° posto della classifica generale.

Nonostante la richiesta della Commissione Europea agli Stati membri di formulare una definizione di povertà energetica in base alle caratteristiche del proprio contesto nazionale e la recente inclusione di misure e azioni obbligatorie di lotta all’Energy poverty nel Pacchetto Energia 2030, sono pochi gli Stati membri che hanno elaborato metodologie statistiche e svolto indagini standardizzate per misurare questa manifestazione di disagio economico e sociale.

La mancanza di una definizione chiara e univoca del fenomeno complica, anche in Italia, la possibilità di misurarne correttamente la portata e di realizzare politiche efficaci di mitigazione e di contrasto. Il perimetro che racchiude la popolazione in povertà energetica varia, infatti, in relazione ai parametri scelti per tracciarlo.

In Italia, nel 2014, le stime sulla dimensione della povertà energetica oscillavano da un minimo di 1 milione e 900mila famiglie, come da algoritmo proposto da Faiella e La Vecchia (2015), a un massimo di 4 milioni e mezzo, come da indicatore soggettivo della Commissione Europea.

Se da un lato l’approccio basato su variabili economiche, reddito e spesa delle famiglie, garantisce “oggettività”, dall’altro trascura aspetti non direttamente osservabili che attengono ai comportamenti e alla percezione delle persone.

La difficoltà nell’inquadrare e mettere a fuoco il tema della povertà energetica deriva dal fatto che esso ha carattere multidimensionale: contribuiscono alla sua definizione i livelli di reddito e di consumo, la dimensione e composizione della famiglia, il costo dell’energia, l’efficienza energetica dell’abitazione, la posizione geografica e le differenze climatiche, lo stato di salute delle persone, la percezione della propria condizione e lo stile di vita.

La lotta alla povertà energetica impone un approccio sistemico, tanto sul piano analitico quanto su quello dell’individuazione delle opportune misure d’intervento, e richiede politiche integrate, energetiche e sociali, che agiscano sulle determinanti del fenomeno.

In questo quadro la Fondazione Di Vittorio-Fdv ha condotto, in collaborazione con lo Spi (Sindacato dei Pensionati Italiani), una ricerca sul campo con l’obiettivo di integrare le informazioni delle statistiche ufficiali su un segmento specifico della popolazione – gli anziani – il cui peso demografico è in crescita da molti anni.

La scelta di circoscrivere la popolazione di riferimento aiuta la lettura dei risultati e consente di calibrare gli interventi. La ricerca ha permesso di tratteggiare i profili degli anziani energy poor, fornendo un’accurata descrizione delle loro caratteristiche, dei loro comportamenti e della loro percezione, nonché di quelli “vulnerabili”, persone che rischiano nel breve periodo di cadere in condizione di povertà energetica.

In base ai criteri d’indagine adottati (vedi tabella), nell’insieme dei 962 soggetti anziani intervistati, il 19% ricade nel gruppo dei “poveri energetici”, il 15% in quello dei “vulnerabili energetici”, mentre la parte restante (66%) è composta dagli “altri”, anziani non poveri e non a rischio: un anziano su tre, quindi, è in condizione di povertà energetica e/o di vulnerabilità.

Va detto che il 60% dei poveri energetici è anche vulnerabile: in questi soggetti la vulnerabilità si configura non già come rischio di cadere nella povertà energetica, nella quale già versano, quanto piuttosto come rischio elevato di perpetuare quella condizione di povertà.

A questa prima partizione del collettivo – realizzata sulla base di condizioni imposte ex ante – è seguita una analisi di cluster con approccio multivariato, che affida alle corrispondenze tra i diversi profili di risposta (analisi delle corrispondenze multiple) la definizione dei gruppi di consumatori anziani: la conoscenza delle loro caratteristiche sociali, culturali ed economiche dovrebbe permettere di calibrare meglio le misure di contrasto della povertà energetica.

In particolare l’analisi si risolve in due passaggi. Il primo consiste nella riduzione a due dimensioni (fattori o assi fattoriali) del fenomeno osservato, il secondo in una cluster analysis impostata sulla proiezione dei soggetti intervistati sul piano individuato dalle due dimensioni virtuali.

Il primo fattore in termini di varianza totale spiegata (69,2%) è associato al comfort abitativo e si definisce per l’opposizione tra la difficoltà nel mantenere una temperatura adeguata, accompagnate da carenze strutturali dell’abitazione e condizioni economiche e di salute precarie, da una parte, e la soddisfazione per un ambiente confortevole (a cui si associano condizioni di benessere economico e di buona salute, nonché abitazioni più efficienti sul piano energetico), dall’altra.

Il secondo fattore rappresenta la dimensione territoriale del fenomeno in studio, ma ha un valore informativo molto ridotto rispetto al primo fattore, a conferma del fatto che la povertà energetica si compone di tre elementi strettamente legati tra loro:

  • abitazione inefficiente
  • povertà economica
  • condizioni di salute non buone.

Il secondo fattore va dunque a contestualizzare l’opposizione benessere/povertà energetica lungo la dimensione territoriale che vede abitazioni di dimensioni ridotte, tendenzialmente in affitto, situate in condominio in contesti urbani, da un lato, contro abitazioni più ampie, mono/ bifamiliari, tendenzialmente di proprietà, situate in zone rurali o montane, dall’altro.

Dalla cluster analysis il campione di soggetti intervistati è distribuito in tre gruppi:

  • i “benestanti”
  • i soggetti “a rischio”
  • gli “indigenti”

Questi cluster presentano una buona sovrapposizione con le tipologie descritte: nove “benestanti” su dieci sono “altri” e tre quarti degli “altri” sono “benestanti”, mentre il 93% degli “indigenti” è comunque “povero e/o vulnerabile”, mentre il 95% dei “poveri” è “indigente” o “a rischio” (vedi tabella).

I “benestanti”

La tipologia dei “benestanti/agiati” corrisponde al gruppo più consistente in termini di numerosità (429 individui, il 52,7% del totale). Questo gruppo identifica quelle persone che possono godere di un maggiore benessere tanto dal punto di vista finanziario (possono affrontare spesso/sempre spese non essenziali), quanto sul versante del comfort abitativo poiché riescono a mantenere una temperatura adeguata sia nella stagione estiva sia in quella invernale, senza ripercussioni negative sulle condizioni di salute (giudicate come buone o molto buone), grazie a una maggiore disponibilità economica immediata per il pagamento delle bollette e a consumi limitati dall’adozione di misure di efficientamento energetico.

Vivendo in condizioni di maggiore agiatezza non usufruiscono del bonus elettrico/gas e hanno una casa di proprietà. Rispetto alle variabili socio-anagrafiche, sono persone coniugate/ conviventi, con un titolo di studio elevato e hanno svolto professioni impiegatizie. Dal punto di vista territoriale si tratta di individui che, rispetto alle tre leghe Spi di riferimento per l’indagine – di Ligura, Toscana, Puglia e Calabria – vivono prevalentemente in Toscana.

Gli anziani “a rischio”

Il secondo gruppo (271 individui, 33,3%) è maggiormente associato a condizioni economiche familiari né agiate né d’indigenza (riescono a far fronte ai bisogni primari, non alle spese non essenziali) che comunque non permette alle persone che ne fanno parte di raggiungere una temperatura confortevole nell’ambiente domestico – anche a causa dell’assenza di doppi vetri e di altre misure di efficientamento energetico – pur facendo affidamento, in alcuni casi, sul bonus elettrico/gas.

Si tratta generalmente di famiglie mononucleari, tendenzialmente composte da vedovi/e, che vivono in un’abitazione di dimensioni ridotte (fino a 60 mq) situate in un condominio in ambiente urbano. Per quanto riguarda la professione svolta prima del pensionamento, si tratta principalmente di ex casalinghe o collaboratori domestici. Dal punto di vista territoriale si tratta di persone generalmente residenti in Liguria.

Gli “indigenti”

Questo gruppo (114 individui, 14%) comprende quelle persone che vivono in condizioni d’indigenza, non riuscendo a far fronte ai bisogni primari. Per quanto, tendenzialmente, riescano ad accedere al bonus elettrico/gas, non sono nelle condizioni – al pari di coloro che sono classificati nel secondo gruppo – di poter mantenere una temperatura adeguata nell’abitazione, anche in ragione della totale assenza di misure di efficientamento energetico, a partire dai doppi vetri, e della mancanza dell’impianto di riscaldamento.

A uno stato di povertà energetica ed economica si accompagnano condizioni di salute precarie e/o compromesse dalla presenza di patologie specifiche.

Si tratta di persone sole, con titoli di studio molto bassi, in prevalenza ex artigiani, lavoratori autonomi, collaboratrici domestiche e casalinghe, che vivono principalmente in Calabria.

Misure per contrastare la povertà energetica

Sul piano delle misure di contrasto alla povertà energetica, in Italia lo strumento principale è il bonus energia elettrica e gas che consiste in una riduzione della spesa media annua pari al 30% (al lordo delle imposte) per l’elettrico e al 15% (al netto delle imposte) per il gas.

Questo strumento si è dimostrato capace di dare sollievo immediato alle famiglie più in difficoltà, in particolare quando la povertà energetica, come nella maggioranza dei casi, è associata alla povertà economica, quando colpisce le persone che non hanno una casa di proprietà e le persone molto anziane restie a fare progetti di lungo periodo come quelli richiesti dalle misure di efficientamento energetico.

Tuttavia, l’aiuto alle famiglie attraverso i bonus non ha sortito i risultati sperati. L’accesso da parte degli aventi diritto è scarso: nel 2017 le famiglie potenzialmente beneficiarie di questo strumento per disagio economico erano circa 2,4 milioni, mentre quelle effettivamente agevolate meno di 800mila.

Inoltre, anche se tutte le famiglie che oggi hanno diritto al bonus lo ricevessero, resterebbe comunque fuori una parte rilevante delle famiglie che sono de facto in condizione di povertà energetica: gli attuali criteri di accesso al bonus, infatti, escludono i soggetti che utilizzano fonti di energia diverse dal gas naturale e i soggetti che ricorrono al teleriscaldamento, cosi come le famiglie del tutto sprovviste di impianto di riscaldamento (verosimilmente le più povere).

Infine, l’attuale meccanismo è complesso e determina alti costi di gestione del sistema e costi amministrativi ai distributori e venditori di energia elettrica e gas che provvedono a corrispondere il bonus in fase di fatturazione.

Per potenziare lo strumento del bonus occorrerebbe, pertanto, aumentare il numero dei percettori e l’importo del contributo, senza discriminare in base alla fonte di energia.

In particolare, lo studio Fdv suggerisce di:

  • raddoppiare il numero dei percettori, portando il take-up della misura (calcolato sui potenziali beneficiari) dal 30-32% al 60-64%;
  • incrementare i bonus (elettrico e gas), per esempio fino al 40% delle bollette tipo al lordo delle imposte;
  • riconoscere un bonus elettrico maggiore (pari, per esempio, al 50% della bolletta tipo) alle famiglie che, pur avendone formalmente diritto, non possono accedere al bonus gas perché non allacciate alla rete.

Va tenuto presente che aumentare le risorse a oggi corrisposte non comporterebbe un aumento rilevante delle bollette a carico degli utenti contribuenti, considerando che nel 2017 un cliente domestico tipo, per il finanziamento del bonus elettrico ha sostenuto una spesa compresa tra 0,77 -1,15 euro anno.

È inoltre necessario intervenire in favore di una corretta informazione e comunicazione per i cittadini-consumatori, poiché la scarsa conoscenza dello strumento del bonus e le barriere psico-sociali connesse alla condizione di povertà (reticenza, diffidenza) possono essere, insieme alle complesse procedure di accesso, uno dei principali motivi alla base della scarsa richiesta per il bonus.

Tali azioni correttive vanno messe in campo a prescindere dagli effetti che l’introduzione del reddito e della pensione di cittadinanza avrà sull’aumento del numero di famiglie che otterranno i bonus energia, un aumento probabilmente molto rilevante e tuttavia insufficiente rispetto all’obiettivo indicato dal primo punto.

Restano inoltre da correggere i “difetti” relativi all’attuale architettura del bonus che sono alla base del divario esistente tra l’area della povertà energetica e quella dei percettori del bonus elettricità e gas. Anche le misure volte ad accrescere l’efficienza energetica delle abitazioni (le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici) hanno un ruolo fondamentale nel contrasto alla povertà energetica. Essi consentono di abbattere il costo complessivo dell’energia riducendo i consumi, intervenendo cosi su una delle cause principali dell’energy poverty.

Ci sono tuttavia dei fattori, impliciti nella natura dell’investimento, che limitano la pratica di questi interventi, soprattutto tra i più anziani. Con l’efficientamento energetico si passa da provvedimenti di breve termine a interventi infrastrutturali di lunga durata che richiedono un costo tendenzialmente alto (sebbene le attualità modalità di erogazione dell’ecobonus consentano di raggiungere anche parte degli incapienti e dei residenti nelle case popolari).

A tale proposito si suggerisce di calibrare la quota di spesa da portare in detrazione in base al valore dell’Isee, riconoscendo una percentuale maggiore ai meno abbienti (fino al 90% per gli incapienti) e incrementando per quanto possibile i fondi a disposizione.

Appare, infine, fondamentale promuovere il dialogo tra i diversi soggetti che gestiscono gli interventi di contrasto alla povertà energetica (autorità di gestione, servizi sociali, Governo e Comuni, parti sociali, associazioni dei consumatori e del terzo settore, istituti di ricerca, ecc.), con l’obiettivo di operare all’interno di un processo condiviso per la costruzione di una governance finalizzata alla lotta alla povertà energetica.

L’articolo è stato originariamente pubblicato sul n. 2/2019 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Energia anziana”

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