Quanti guai per il “nuovo” nucleare in Francia e Finlandia
Il “nuovo” nucleare in Francia e Finlandia non smette di accumulare ritardi, ostacoli tecnici, extra costi, dubbi sulla sicurezza e sulla manutenzione dei futuri reattori EPR (European Pressurized Reactor), quelli che il consorzio Areva-Siemens sta costruendo a Flamanville e Olkiluoto.
Partiamo proprio dai guai che stanno rallentando lo sviluppo della centrale finlandese.
Secondo una recentissima nota della compagnia energetica TVO, che gestisce i reattori 1-2 di Olkiluoto realizzati negli anni ’70, l’unità EPR da 1.600 MW di potenza installata (OL3) inizierà a produrre stabilmente energia elettrica a luglio 2020 anziché gennaio di quello stesso anno.
È stato il consorzio Areva-Siemens a comunicare a TVO l’ennesimo posticipo della tabella di marcia per completare l’impianto, poiché i lavori non stanno procedendo al ritmo previsto.
Ora si parla di caricare il combustibile nucleare nel reattore all’inizio del 2020, per poi connettere per la prima volta la nuova unità alla rete elettrica nei 2-3 mesi successivi.
Vedremo se queste saranno le date definitive o se l’entrata in esercizio di Olkiluoto 3 sarà ancora rimandata, com’è stato fatto innumerevoli volte negli ultimi dieci anni: il reattore originariamente avrebbe dovuto cominciare le sue attività nel 2009.
Intanto anche l’unità EPR francese di Flamanville rimane avvolta dalle incognite sulla corretta esecuzione dei lavori.
Ai primi di luglio, il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, era andato su tutte le furie a causa delle ripetute interruzioni sul cantiere, tanto da annunciare l’avvio di un’indagine indipendente per capire le ragioni delle difficoltà che stanno affossando la tecnologia EPR di nuova generazione.
Il suo disappunto riguardava, in particolare, l’ennesimo avviso dell’Autorità francese per la sicurezza nucleare (ASN: Autorité de Sûreté Nucléaire), che imponeva a EDF (proprietaria della centrale) di riparare otto saldature difettose riscontrate su alcuni componenti dell’impianto.
L’entrata in funzione del terzo reattore di Flamanville, ricordiamo, era prevista nel 2012; ritardi e problemi hanno fatto lievitare il costo stimato del progetto da circa 3,3 a più di 10 miliardi di euro.
Nonostante tutte le “disgrazie” patite dal nucleare in questi anni, l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) in un rapporto uscito lo scorso maggio ha ripetuto la tesi dell’essenzialità dell’atomo per realizzare un mix elettrico più pulito, in grado di rinunciare all’impiego di fonti fossili.
Una tesi, però, ampiamente criticata da chi sostiene l’idea della transizione energetica verso il 100% di fonti rinnovabili, come il prof. Mark Z. Jacobson della Stanford University (vedi qui un suo recente documento sul tema).
Investire nel nucleare è anacronistico, afferma Jacobson, per una serie di motivi: tempi di costruzione lunghissimi, costi molto elevati in confronto alle sempre più competitive risorse rinnovabili (parchi eolici-fotovoltaici), rischi per la sicurezza e per lo smaltimento delle scorie radioattive.
E poi, chiarisce Jacobson, poiché le rinnovabili producono elettricità a costi in continuo calo, non si capisce perché il vuoto lasciato dall’atomo si dovrebbe riempire con il gas o il carbone (come fa intendere la IEA quando parla di un aumento per le emissioni di CO2 con la progressiva perdita di capacità nucleare), piuttosto che con l’eolico, il solare e le batterie per l’accumulo.
Il governo francese, intanto, punta a ridurre al 50% la quota dell’atomo sulla generazione elettrica totale nel 2035 (non più 2025 come inizialmente proposto) chiudendo 4-6 vecchi reattori entro il 2028 secondo le indicazioni della programmazione pluriennale dell’energia pubblicata lo scorso gennaio.
Parigi punta anche a raddoppiare la potenza installata nelle rinnovabili in confronto al livello del 2017, arrivando così a 102-113 GW di capacità cumulativa tra una decina d’anni.
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