Brexit: Johnson ora dovrà sciogliere anche il nodo sull’ambiente
Il Partito Conservatore ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni politiche svoltesi ieri in Gran Bretagna.
Si è assicurato così un chiaro mandato non solo per traghettare il paese fuori dall’Unione Europea, ma anche per realizzare una “rivoluzione industriale verde” e costruire un’economia con emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050, secondo le promesse del premier Boris Johnson.
Johnson potrà contare su un sostegno che il Partito Conservatore non riceveva dal trionfo elettorale di Margaret Thatcher del 1987.
Bisognerà vedere adesso se il premier sfrutterà questa posizione di forza per prendere decisioni coraggiose sul fronte della crisi climatica, diradando le perplessità suscitate dalla sua campagna elettorale fra gli ambientalisti. Se, da una parte, infatti, Johnson ha promesso maggiori finanziamenti per le infrastrutture verdi, dall’altra non hanno fatto una buona impressione scelte come il suo rifiuto di partecipare al dibattito televisivo sul clima.
Durante la campagna elettorale, Johnson ha indicato che l’obiettivo di zero emissioni nette del Regno Unito entro il 2050 sarebbe stato una priorità assoluta per il suo governo, assieme al successo del vertice sul clima COP26, previsto a Glasgow il prossimo novembre.
Johnson ha promesso anche di realizzare una “rivoluzione energetica pulita” che avrebbe “sfruttato il potere della scienza, dell’innovazione e della tecnologia per affrontare il cambiamento climatico, stimolare la crescita economica e creare posti di lavoro altamente qualificati e ad alta retribuzione”.
Nella sua piattaforma elettorale, il partito conservatore ha promesso in particolare di raddoppiare i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo a 18 miliardi di sterline; utilizzare il fondo Ayrton da 1 miliardo di sterline per sviluppare “energia pulita accessibile e a prezzi accessibili”; approvare il progetto di legge sull’ambiente e aprire un ufficio per la protezione ambientale; introdurre un nuovo fondo chiamato Natura per il Clima da 640 milioni di sterline per piantare alberi e ripristinare le zone umide; lanciare un nuovo fondo chiamato Blue Planet da 500 milioni di sterline per la protezione degli oceani; aumentare la capacità eolica offshore del Regno Unito a 40 GW entro il 2030; investire 800 milioni di sterline per costruire una rete per lo stoccaggio del carbonio entro la metà del prossimo decennio; investire 500 milioni di sterline per aiutare le industrie ad alta intensità energetica ad adottare tecnologie a basse emissioni di carbonio; e infine imporre una moratoria sul fracking.
I laburisti, usciti aspramente sconfitti dalle elezioni, da parte loro, avevano criticato il piano conservatore come un “disastro“, sostenendo che il livello di spesa per le infrastrutture verdi fosse ben al di sotto di quanto necessario ad indirizzare il Regno Unito sulla strada giusta per raggiungere il proprio obiettivo di emissioni nette pari a zero.
Gli ambientalisti britannici sostengono che il pacchetto proposto non sia abbastanza ambizioso e che non affronti adeguatamente questioni cruciali come l’efficienza energetica nell’edilizia o lo sviluppo delle energie rinnovabili. Secondo i critici, inoltre, l’accordo di uscita dalla UE rischia di aprire la porta ad un indebolimento delle norme ambientali in Gran Bretagna.
Il prossimo governo conservatore sarà con ogni probabilità rapidamente chiamato a mantenere i suoi impegni.
Fra questi, le prime scadenze riguardano i preparativi per il vertice COP26, l’annunciato Libro Bianco sull’energia, il varo di una strategia di decarbonizzazione dei trasporti, nonché disegni di legge su ambiente, agricoltura e pesca.
Oltre che sulle materie più direttamente legate all’ambiente, l’attenzione si rivolgerà immediatamente anche ai negoziati previsti per gli accordi commerciali con l’UE.
Anche su questo fronte, c’è da attendersi che i vari stakeholder vigileranno affinché il nuovo governo conservatore mantenga il suo ripetuto impegno a garantire che le intese commerciali da firmare in molteplici settori non annacquino le norme ambientali.
Il nuovo governo conservatore di Boris Johnson potrebbe insediarsi e far approvare dal Parlamento il suo accordo di ritiro dall’UE già prima di Natale.
Ma Johnson potrebbe ritrovarsi presto in una posizione di stallo con Bruxelles, vista la difficoltà di trovare accordi su una miriade di questioni commerciali prima della fine del periodo di transizione, alla fine del 2020.
I conservatori britannici hanno promesso che non scenderanno a compromessi sugli standard ambientali in qualsiasi negoziato commerciale. Ma Johnson ha anche ripetutamente segnalato il desiderio di garantire che il Regno Unito sia libero di discostarsi dalle norme UE in una serie di settori.
Da parte sua, Bruxelles ha avvertito che eventuali tentativi di ridurre gli standard europei in materia di ambiente, diritti dei lavoratori e altre questioni potrebbero affondare qualsiasi possibilità di un accordo che consenta ai beni e servizi britannici di accedere al mercato unico.
Secondo alcuni osservatori, l’ampia maggioranza conservatrice potrebbe dare a Johnson maggiore libertà di compromesso e di indirizzo nell’attuazione di una Brexit più morbida. Altri paventano invece che una vittoria così larga dei conservatori potrebbe essere usata come un mandato per uscire dall’UE anche senza accordi commerciali alla fine del 2020, se i negoziati dovessero impantanarsi in discussioni infinite.
Difficile dire esattamente come andrà a finire. Certo è che la transizione energetica è già complessa e difficile di suo e che sovrapporre a tale complessità anche quelle di una completa rinegoziazione dei trattati commerciali o di un loro abbandono rende l’esito della scommessa britannica estremamente incerto.
Il premier britannico si troverà probabilmente sottoposto a pressioni opposte.
Johnson, infatti, non dovrà fare i conti solo con Bruxelles e con i suoi standard ambientali e sociali, ma anche con una bella fetta dei suoi stessi elettori conservatori. Fra questi militano molti colletti blu non più giovanissimi, che hanno scelto la Brexit perché nostalgici della grandezza industriale ed economica britannica del passato, che difficilmente tornerà con le stesse caratteristiche e che comunque mal si sposerebbe con le esigenze della decarbonizzazione.
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