Petrolio e crisi in Medio Oriente: quali scenari per il 2020?
Che anno sarà il 2020 per il mercato petrolifero mondiale?
A questa domanda è ancora più difficile rispondere dopo l’attacco americano a Baghdad che ha ucciso il generale iraniano Soleimani, dando così nuova linfa alle tensioni geopolitiche in Medio Oriente. La crisi tra gli Stati Uniti e l’Iran potrebbe aprire una fase ancora più incerta e volatile per i prezzi del petrolio, già schizzati intorno a 63-70 dollari al barile rispettivamente sugli indici Brent e WTI.
Molto dipenderà da quali saranno le risposte iraniane al raid Usa contro Soleimani.
È realistico ipotizzare uno “shock petrolifero” con impatti devastanti a livello globale?
Vediamo più in dettaglio su quali elementi si giocherà lo scacchiere dell’oro nero nei prossimi mesi, ricordando che appena qualche settimana fa, l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) nel suo Oil Market Report parlava di un probabile rilevante surplus di offerta rispetto alla domanda all’inizio del 2020, tanto che diversi paesi produttori dell’OPEC stanno continuando la loro politica di tagli all’output petrolifero per mantenere in equilibrio il mercato globale.
E le turbolenze innescate dall’attacco di settembre in Arabia Saudita contro alcuni impianti del colosso Saudi Aramco sembravano già riassorbite; attacco che, ricordiamo, era stato rivendicato da un movimento yemenita filoiraniano.
Ora la mossa di Donald Trump contro l’Iran ha rimesso tutto in discussione.
Tra le motivazioni del presidente Usa, con ogni probabilità, c’è anche la volontà di spingere il più possibile l’industria americana dello shale oil, il petrolio estratto dagli scisti nei giacimenti cosiddetti “non convenzionali” grazie alla tecnica del fracking, la “spaccatura” degli strati rocciosi per consentire la fuoriuscita degli idrocarburi.
Industria che in pochi anni ha permesso agli Stati Uniti di diventare uno dei principali esportatori mondiali di greggio; qualche mese fa la IEA parlava addirittura di una nuova ondata di shale oil alle porte, anche se sulle aziende del settore continua a pendere più di una spada di Damocle, tra cui soprattutto l’enorme indebitamento degli anni passati, necessario per finanziare le costose attività estrattive.
Dal punto di vista finanziario, insomma, il petrolio da scisto americano è molto esposto alle fluttuazioni dei mercati ma potrebbe ottenere una boccata d’ossigeno con prezzi in aumento del barile.
Il punto, infatti, è che lo shale oil ha bisogno di quotazioni più elevate per ripagare i maggiori costi di produzione del fracking, rispetto ai pozzi tradizionali.
L’Iran da parte sua potrebbe valutare diverse ritorsioni “energetiche” contro gli Stati Uniti e più in generale contro i suoi alleati e partner commerciali.
Teheran, ad esempio, potrebbe attaccare/bloccare le petroliere che transitano nello stretto di Hormuz, il braccio di mare lungo 60 km che separa l’Iran dalla penisola arabica e da cui passa una fetta consistente del petrolio scambiato a livello mondiale; potrebbe anche tagliare le esportazioni di oro nero dall’Iraq.
E a soffrire le conseguenze peggiori, in termini di approvvigionamenti energetici, potrebbero essere i paesi dell’Asia e dell’Europa (Italia compresa) ancora più che gli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, avrebbero le spalle maggiormente coperte grazie alle risorse nazionali di shale oil.
Al contrario, quasi il 30% del petrolio consumato dall’Italia passa dallo stretto di Hormuz e circa il 20% proviene dai giacimenti iracheni.
Insomma una ritorsione iraniana che prendesse di mira lo stretto di Hormuz e-o le esportazioni dall’Iraq potrebbe creare degli scompensi nella bilancia globale tra domanda e offerta di petrolio, innescando un rally dei prezzi (fino a 100 dollari al barile?) e mettendo in difficoltà diverse economie in Asia ed Europa, soprattutto quelle che più dipendono dalle importazioni di combustibili.
Ma anche in questo caso, bisognerà vedere come reagiranno le altre forze in gioco: gli Stati Uniti, ad esempio, potrebbero aumentare ulteriormente la produzione di petrolio da scisto (anche se tale incremento non potrebbe essere immediato) mentre i paesi OPEC potrebbero attingere alla loro ampia capacità di riserva stimata in circa 2 milioni di barili giornalieri immediatamente disponibili.
In definitiva, la risposta alla domanda che tutti si pongono, se i prezzi schizzeranno verso l’alto oppure no, come conseguenza di un’eventuale ritorsione iraniana, rimane apertissima e solo le prossime settimane potranno fornire indicazioni un po’ più precise sull’evoluzione del quadro mediorientale.
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