Clima e coronavirus, le strette relazioni delle emergenze globali
L’attuale diffusione del Covid-19 a livello mondiale suggerisce diverse delicate considerazioni, visto che imporrà modifiche a livello economico e sociale non di poco conto. Partiamo dall’allarme che si è diffuso.
Diversa percezione del rischio
Il timore che si è generato tra la popolazione, sui media e nelle istituzioni è di gran lunga maggiore rispetto a quello che si riscontra nei confronti dell’emergenza climatica.
C’è evidentemente una diversa percezione del rischio, legata ai tempi e agli spazi. Il Covid-19 colpisce centri urbani in tempi ristretti, mentre gli impatti del cambiamento del clima sono immaginati lontani da noi. Pensiamo che ci vorranno decenni per percepire la gravità della crisi.
Ma le cose non stanno così. È vero che gli impatti più devastanti si manifesteranno sul medio e lungo periodo, ma la crisi sta toccandoci già oggi, con le foreste che bruciano, le siccità, gli uragani, le bombe d’acqua, l’erosione delle coste…
Vittime e danni sono già presenti. Negli ultimi 20 anni, secondo il Climate Index Risk, più di 12.000 fenomeni meteorologici estremi hanno causato 500mila vittime nel mondo.
Anche analizzando il cambiamento dei nostri comportamenti e la risposta delle istituzioni al Covid-19, riscontriamo una differenza, per certi aspetti comprensibile: per limitare gli impatti del virus vengono prese, per un periodo limitato, specifiche precauzioni; nel caso della crisi climatica, saranno i nostri stessi stili di vita che verranno messi definitivamente in discussione.
Le ripercussioni sui consumi energetici e sull’ambiente
Nelle due settimane successive alla fine delle vacanze dell’Anno Nuovo, in Cina le emissioni di anidride carbonica si sono ridotte del 25%, 100 milioni di tonnellate, pari ad un taglio del 6% a livello mondiale.
Secondo la IEA, tra gennaio e settembre i consumi globali petrolio si ridurranno dell’1,5% rispetto allo scorso anno.
Insomma, se nel 2019 le emissioni di CO2 non erano cresciute, nel 2020 con ogni probabilità caleranno. Del resto, l’anno successivo alla crisi finanziaria del 2008, il calo fu dell’1,3%, ma in un contesto molto diverso.
Negli Usa si registrò infatti una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 7%, mentre in Cina esse aumentarono dell’8%.
Una ricaduta positiva della paralisi cinese riguarda il netto miglioramento della qualità dell’aria nelle aree bloccate (vedi figura in basso), si traduce anche in effetti positivi sulla salute. Ricordiamo che in Cina si stimano 1,2 milioni di morti l’anno per inquinamento atmosferico, cioè 2.700 al giorno, solo poco meno dei morti da Covid-19 in Cina dall’inizio della crisi epidemica (ormai da 2 mesi).
Peraltro, è bene considerare che in Italia le morti annue premature attribuibili all’esposizione a particolato sottile, ozono e biossido di azoto sono 84.000 secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente.
Gli impatti sull’economia e sui modelli di lavoro
Se la Sars aveva avuto un impatto sull’economia globale stimato in 40 miliardi di dollari, il Coronavirus potrebbe essere molto più devastante, con costi che potranno superare i 1.000 miliardi di dollari.
Ma le conseguenze saranno anche di più lungo periodo, modificando le stesse modalità di lavoro e di studio e con una rivisitazione del modello economico globalizzato.
Siamo infatti di fronte al più ampio esperimento di telelavoro e insegnamento a distanza mai fatto, ed è possibile che questa modalità imponga una riflessione, passata la crisi. Sono 180 milioni gli studenti cinesi che non possono tornare a scuola e in molti casi sono passati ad un insegnamento online con 600.000 insegnanti impegnati nei corsi.
E sono molte le imprese in Cina e all’estero stanno ricorrendo al telelavoro.
Gli impatti sulla globalizzazione
Una delle ricadute più incisive dell’attuale epidemia, riguarda però lo stesso modello della globalizzazione che si è imposto negli ultimi anni. Sono infatti evidenti le criticità emerse in un modello produttivo basato sul decentramento e sulla frammentazione delle lavorazioni.
Secondo Jörg Wuttke, presidente della Camera di commercio europea in Cina, “la globalizzazione, che consentiva di produrre dove era più conveniente, è finita” e, secondo Tyler Cowen di Bloomberg “è possibile che l’economia globale vedrà un’ interruzione di molti scambi commerciali”.
Il rischio che possano in futuro manifestarsi altre epidemie porterà, cioè, alla riduzione delle catene di lavorazione.
Il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire alla riunione dei ministri economici del G20 tenutosi nella seconda metà di febbraio in Arabia Saudita è stato netto: “vogliamo ancora dipendere per il 90% o del 95% dalla catena di approvvigionamento dalla Cina per molti comparti industriali o sarà meglio costruire nuove fabbriche da noi per essere più indipendenti e sovrani?”
Insomma, è indubbio che una delle conseguenze del diffondersi del coronavirus riguarderà lo stesso modello economico per come l’abbiamo conosciuto finora, con possibili ricadute positive anche dal punto di vista ambientale.
E per finire… i rischi di nuovi virus letali a causa della crisi climatica
Secondo l’Oms tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica provocherà 250mila morti ogni anno. Ma c’è un rischio nuovo che va considerato, anche alla luce dell’attuale emergenza da coronavirus.
L’innalzamento delle temperature, infatti, metterà in circolazione virus e batteri attualmente congelati nei ghiacci polari e nel permafrost dove possono sopravvivere per centinaia di migliaia di anni. Diversi studi e ricerche hanno evidenziato come la fusione progressiva di queste masse ghiacciate potrebbe fare riemergere virus che hanno causato in passato gravi epidemie.
Inoltre, le esplorazioni di petrolio e l’estrazione di minerali in queste aree potrebbero accelerare la diffusione di virus letali.
Ovviamente, quanto più riusciremo a rallentare l’aumento delle temperature e contenere l’aggressione industriale nelle aree polari, minori saranno i rischi.
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