Ancora più dubbi sui nuovi gasdotti con la strategia Ue al 2050
All’Europa non serviranno più nuovi gasdotti, se gli Stati membri adotteranno la strategia 2050 per “ripulire” profondamente il mix energetico con le fonti rinnovabili (vedi anche il rapporto di Eurelectric sulla de-carbonizzazione della rete elettrica Ue).
È stato il commissario per l’energia e il clima, Miguel Arias Cañete, a rilanciare il dibattito sull’utilità futura di ulteriori infrastrutture dedicate alle risorse fossili, in un continente che dovrebbe assegnare un ruolo dominante delle tecnologie pulite, a scapito di gas, carbone e petrolio.
Un dibattito che è particolarmente vivace in Italia, alle prese con la realizzazione del gasdotto TAP, Trans Adriatic Pipeline, che dovrà portare il combustibile dai giacimenti azeri nel Mar Caspio fino alle coste pugliesi, inaugurando quel “corridoio sud” del gas che Bruxelles ha sempre considerato fondamentale per ridurre la dipendenza europea dalle importazioni energetiche.
Tuttavia, la strategia 2050 potrebbe cambiare le carte in tavola.
Cañete ha parlato di abbattere le importazioni di energia, addirittura del 70% in confronto a oggi, risparmiando migliaia di miliardi di euro in totale al 2050. Miliardi che potrebbero essere investiti altrove, per realizzare un’economia a impatto climatico zero.
Oggi l’Europa spende circa 266 miliardi di euro l’anno per soddisfare la sua “fame” di energia con idrocarburi provenienti da altri paesi.
Però questo taglio netto delle importazioni, ha spiegato il commissario – l’agenzia EurActiv ha riportato diverse osservazioni di Cañete sull’argomento – avverrà grazie alla futura elettrificazione “spinta” del sistema energetico, grazie alle rinnovabili, al nucleare, alla produzione di metano/idrogeno a partire da elettricità “verde” (vedi QualEnergia.it sulle stime più recenti per le tecnologie P2G, Power-to-gas), sul contributo degli impianti per catturare la CO2 (CCS, Carbon Capture and Storage).
Senza affrontare nuovamente le controversie sulle potenzialità del CCS – rimandiamo a questo articolo per un approfondimento – è importante sottolineare due affermazioni di Cañete (traduzioni nostre dall’inglese, con aggiunta di neretti).
La prima: “Il gas nel 2050 non avrà lo stesso ruolo di oggi in Europa”.
Ancora più incisiva la seconda: “Ecco perché dobbiamo essere molto intelligenti nel gestire gli investimenti in infrastrutture senza farle diventare stranded asset”.
Stranded asset, letteralmente, significa “beni incagliati”. In altre parole: opere che hanno perso la loro ragione d’essere, non più remunerative perché sono state schiacciate dalla concorrenza delle rinnovabili, pensiamo ad esempio alle centrali a carbone vecchie e inquinanti e per l’appunto ai gasdotti.
A cosa serviranno i nuovi tubi come quelli di TAP, o del progetto Nord Stream II per raddoppiare il transito di combustibile dalla Russia alla Germania attraverso il Baltico, se tra pochi decenni l’Europa si sarà affrancata dall’uso massiccio di gas fossile?
Di certo, questo sarà un nodo decisivo nelle discussioni che seguiranno a livello Ue per definire più in concreto gli obiettivi, le regole e le misure politiche della strategia 2050.
In una recente nota, l’associazione europea dell’industria del settore, Eurogas, ha ribadito che “il gas ha ancora molto da offrire” anche grazie alle tecnologie innovative che si stanno sviluppando per produrre metano di origine rinnovabile.
Gas pulito da immettere in rete per l’utilizzo negli edifici e nei trasporti, o per alimentare impianti termoelettrici in grado di dare sicurezza e flessibilità operativa al mix di generazione centrato sulle rinnovabili, insieme con le soluzioni per l’accumulo energetico (batterie soprattutto), ai dispositivi demand response per il controllo della domanda e così via.
Difatti, Eurogas parla di “sector coupling”, interazione tra settori diversi: generazione elettrica, riscaldamento, processi industriali, trasporti.
Intanto Carbon Tracker, sempre in tema di stranded asset, ha pubblicato un nuovo rapporto, Powering down coal (allegato in basso) sostenendo che entro il 2040 la maggior parte (72%) delle centrali a carbone in tutto il mondo sarà diventata antieconomica.
Già oggi, quasi metà degli impianti a carbone (il 42%) non può generare profitti, a causa dei costi operativi eccessivamente elevati nel confronto con le altre fonti di generazione elettrica.
A prescindere, evidenzia il gruppo indipendente di analisti finanziari, dall’eventuale introduzione di misure ancora più severe sulle emissioni, come carbon tax o altri meccanismi per tassare la CO2, che farebbero accelerare ancora di più il declino di questa fonte fossile.
Documenti allegati (pdf in inglese):
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