Carbon tax, Merkel la rilancia, ma avrà un futuro?
È la Germania a rilanciare l’idea di una carbon tax a livello europeo per contribuire alla riduzione delle emissioni inquinanti: la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ventilato la possibilità di formare un gruppo di paesi volenterosi (coalition of the willing) per portare avanti questo progetto.
La proposta di Merkel è arrivata in coda al vertice informale di Sibiu, in Romania, dove si sono riuniti i capi di Stato e di governo dell’Ue per discutere l’agenda strategica 2019-2024.
Per quanto riguarda l’energia e il clima, però, nella Dichiarazione di Sibiu si trova solamente un generico accenno alla tutela dell’ambiente e alla lotta contro i cambiamenti climatici; ricordiamo, tra l’altro, che la Germania, al pari dell’Italia, aveva rifiutato di sottoscrivere l’appello lanciato da otto nazioni prima del vertice rumeno (Francia, Olanda, Belgio, Svezia, Danimarca, Spagna, Portogallo, Lussemburgo), per chiedere di puntare all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 (vedi anche qui).
Intanto Berlino ha rimesso sul tavolo la carta del carbon pricing: un meccanismo fiscale che consenta di tassare le emissioni di anidride carbonica nei settori non coperti dall’ETS (Emission Trading Scheme), quindi trasporti, edilizia e agricoltura.
Questo meccanismo, ha spiegato Angela Merkel, dovrebbe essere il più uniforme possibile tra i diversi paesi, anche se una soluzione comune all’intera Europa richiederebbe troppo tempo, di conseguenza la Germania sta cercando alleati (l’Olanda ad esempio, oppure la Francia) per definire una strategia applicabile almeno in un certo numero di nazioni.
Ricordiamo che il dibattito sul carbon pricing in Germania è decollato nelle ultime settimane, grazie anche al lavoro del “gabinetto climatico” che riunisce i ministri più interessati alle politiche volte a ridurre le emissioni di gas-serra entro il 2030; il cancelliere di recente ha confermato che l’esecutivo tedesco sta vagliando tutte le possibilità per diminuire i livelli di CO2 in settori critici come i trasporti, comprese eventuali misure finanziarie con cui penalizzare l’utilizzo di carburanti fossili.
Perfino la lobby industriale BusinessEurope sta considerando l’ipotesi di adottare in futuro qualche “aggiustamento” fiscale contro la CO2, che potrebbe essere un dazio climatico sui prodotti importati dai paesi extra-Ue che non rispettano determinati standard ambientali.
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