Cavo Italia-Montenegro, quale energia importeremo e a che costi?
L’avevamo chiamata la Tav elettrica: una “grande opera” dal costo miliardario, giustificata all’inizio con certe motivazioni, che però, quando il contesto è cambiato, invece di essere abbandonata, è andata avanti giustificata da altre ragioni, suscitando per questo dubbi e sospetti.
Una grossa differenza c’è però fra i due casi: la Tav ferroviaria è ancora in alto mare, quella elettrica è stata completata da poche settimane.
Parliamo infatti della linea da 1,2 GW, ad alto voltaggio e corrente continua (HVDC), che collega da metà novembre, Italia e Montenegro.
Come potete leggere nei vari interventi (qui, qui e qui, fra gli altri) che da molti anni dedichiamo al tema, la storia inizia nel 2005, quando per ovviare a una preoccupante carenza di capacità elettrica nazionale, si pensò di costruire una linea elettrica sottomarina di 480 km, di cui 430 sottomarini, fra Abruzzo e Montenegro, per importare alla bisogna energia dal paese balcanico.
Fin da subito nacquero perplessità e dietrologie legate alla strana destinazione della linea, un paese non certo noto per trasparenza e incorruttibilità, e neanche per le sue grandi capacità di produzione elettrica.
Comunque sia, negli anni successivi il deficit di capacità elettrica italiano si è risolto e la linea, i cui lavori sono iniziati solo nel 2015, sembrava destinata al dimenticatoio. Invece il progetto è andato avanti, stavolta con la motivazione che la connessione con il Montenegro ci avrebbe aiutato a rendere più “verde” la nostra energia, in vista degli impegni del 20-20-20.
Peccato che il Montenegro e molti dei paesi a esso collegati, producano gran parte della loro energia con la lignite, il peggiore dei combustibili fossili quanto a inquinamento e CO2. Quindi importare energia da loro avrebbe addirittura peggiorato la situazione.
A tutti questi nostri dubbi negli anni scorsi, Terna, la società che gestisce la rete ad alta tensione italiana e che ha costruito l’elettrodotto, non aveva mai risposto.
Finalmente, dopo l’inaugurazione del cavo (foto in alto), ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Quanto ci è costata questa opera?
L’intera interconnessione da 1.200 MW costerà circa 1,15 miliardi di euro, quasi tutti a carico degli italiani, che la pagheranno con una voce in bolletta elettrica. La parte attualmente realizzata è però costata 800 milioni di euro e consiste in uno dei due cavi da 600 MW e nelle due stazioni di conversione in Italia e Montenegro. Abbiamo rimandato la seconda parte del progetto, sia per contenere il peso sulla bolletta, sia in attesa del pieno sviluppo dei mercati e delle reti dei Balcani. Una parte della spesa è stata comunque coperta da imprenditori privati, che recupereranno l’investimento usando 200 MW della capacità della linea senza costi per i prossimi dieci anni
Perché si è scelto proprio il Montenegro, paese di scarsa quantità e pessima qualità di produzione elettrica?
Il Montenegro, grazie al suo posizionamento geografico e a una rete di trasmissione ben collegata a Bosnia Erzegovina, Serbia, Kosovo, Albania e, indirettamente, Bulgaria e Romania, è in una posizione strategica per svolgere il ruolo di piattaforma elettrica di scambio tra Italia e regione balcanica. Altre ipotesi, come un collegamento alla Croazia, presentavano problemi di congestione delle linee locali.
Ma a cosa ci dovrebbe servire questo collegamento?
Per l’Italia l’opera significa maggiore sicurezza del sistema elettrico e contributo agli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2. In particolare, contribuirà all’integrazione del mercato italiano con quello dei Balcani e incrementerà la flessibilità di esercizio delle fonti rinnovabili, attraverso l’esportazione di energia verso quell’area. Si ridurranno così i rischi di eccesso di generazione nei momenti, sempre più frequenti, in cui il sistema italiano è in condizioni di ridotto fabbisogno ed elevata produzione da fonti rinnovabili.
Oggi il curtailment, la quota inutilizzabile della produzione da rinnovabili, è però relativamente basso. Per evitare questo serviva una linea in grado quindi di trasportare migliaia di GWh ogni anno?
L’attuale curtailment è di circa 300 GWh/anno, e dipende soprattutto dall’impossibilità di trasportare tutta l’energia eolica prodotta in certe aree e in certi momenti con le attuali linee. L’interconnessione è invece pensata soprattutto per ridurre i problemi al 2030, quando, secondo il PNIEC, il Piano Nazionale Energia Clima, solare ed eolico duplicheranno la loro potenza fino a circa 40 GW, e questo, nei periodi di basso fabbisogno ed elevata produzione, determinerà l’impossibilità di bilanciare l’eccesso di generazione a livello zonale e nazionale.
Ma per far questo non sarebbero bastate delle linee interne, che spostino l’energia in eccesso da sud a nord o anche sistemi di accumulo?
Nuove linee interne HVDC nord-sud sono previste nel nostro Piano di Sviluppo, anche se rispondono a finalità differenti, come la sicurezza del servizio e la rimozione dei vincoli di trasporto tra zone di mercato. Nel PNIEC è poi previsto lo sviluppo di sistemi di accumulo: per il 2030 stime preliminari indicano un fabbisogno intorno a 1 TWh, forniti da 6 GW tra pompaggi e batterie centralizzati, e accumuli distribuiti per 4-4,5 GW. È già stato avviato uno studio per l’individuazione di siti adatti a nuovi impianti di pompaggio basati su laghi o bacini esistenti. Ma si devono comunque sviluppare interconnessioni tra le diverse zone di mercato europee, che consentono lo scambio di risorse e più sicurezza di approvvigionamento. Tali azioni debbono essere sviluppate e attuate in parallelo se si vuole conseguire gli obiettivi previsti, mantenendo al contempo livelli di qualità del servizio in linea con gli standard di oggi.
Voi dite che l’Italia userà la linea anche per esportare nei Balcani, ma visto che lì l’energia costa molto meno che da noi, o si esporterà poco, oppure si svenderà la nostra elettricità.
È vero che inizialmente si avrà prevalentemente import dal Montenegro, ma si prevede che nei prossimi anni i prezzi medi dell’energia nei due paesi convergano progressivamente, dando luogo a scambi più bilanciati. Oltre a ciò le differenze tra i due mercati, legate sia a fattori stagionali che intra-day, assicureranno un differenziale di prezzo medio orario sufficiente per avere scambi nelle due direzioni. In particolare, in Montenegro sono attesi prezzi più alti nei mesi invernali e quindi import da noi, per la minor disponibilità di produzione idroelettrica; mentre nei mesi estivi la loro maggiore disponibilità di generazione a costi competitivi, comporterà scambi prevalenti dal Montenegro all’Italia, anche se ci saranno periodi con flussi contrari, legati a nostra eccedenza di produzione da rinnovabili. Considerando tutti i vantaggi che la connessione porterà all’Italia, le analisi economiche del progetto, prevedono un ritorno positivo per il paese in tutti gli scenari, con un rapporto benefici/costi fra 1,5 e 2,2 al 2030.
E veniamo al problema principale di questa opera: l’avete presentata come un passo verso la sostenibilità. Ma la verità è che il Montenegro e i suoi due principali confinanti, Serbia e Bosnia, producono oltre la metà della loro elettricità con lignite.
Questo forse era vero in passato, ma adesso, seguendo la 2009/28 del Parlamento Europeo sulle fonti rinnovabili, il Montenegro ha assunto l’obbligo di aumentare l’uso di energie rinnovabili per raggiungere almeno una quota del 33% di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo entro il 2020, simile quindi alla nostra, e già nel 2017 la sua elettricità è arrivata per il 40% da rinnovabili. È vero che il Montenegro ha una centrale a lignite, ma per soddisfare i valori limite di emissioni europei verrà disattivata prima del 2023, probabilmente già a fine 2020. Nell’area Sud‐Est Europa e Balcani, le stime prevedono dal 2020 al 2030 un aumento degli impianti di generazione da fonti rinnovabili di circa 15 GW, da gas per circa 5 GW e una contestuale riduzione della capacità a carbone e lignite per oltre 8 GW.
In realtà gran parte della nuova capacità rinnovabile dell’area dovrebbe arrivare da progetti idroelettrici, ma questi stanno suscitando una grande opposizione locale e internazionale, perché nei Balcani ci sono gli ultimi grandi fiumi europei privi di sbarramenti, e chiuderli con dighe, vorrebbe dire un enorme danno ambientale.
In realtà dei 15 GW di nuove rinnovabili nell’area balcanica, solo uno è previsto da idroelettrico, 12 GW sono da impianti eolici e 2 GW da fotovoltaico. Nei prossimi 10 anni si stima che le fonti rinnovabili copriranno il 50% della produzione elettrica della regione.
Sembrano previsioni molto ottimistiche. E cosa succederà se non si attuano e ci troviamo ad importare elettricità carica di CO2?
Esistono in Europa norme che penalizzano l’elettricità prodotta da fonti ad alte emissioni, la più nota è l’ETS, cioè la vendita di quote di emissioni guadagnate da chi è stato “virtuoso”, a chi emette troppa CO2. Al 2020 è previsto che le emissioni dei settori disciplinati dall’Ets, fra cui quello elettrico, siano inferiori del 21% rispetto al 2005 e nel 2030 si arriverà a un -43%. Se l’energia dei Balcani non rispettasse questi limiti, perderebbe valore, dovendo essere accompagnata, per essere immessa nella nostra rete, da quote negative di CO2 acquistate sul mercato. Quindi, la connessione Italia-Montenegro, sarà un forte stimolo per i paesi che la vorranno usare, a rendere la loro elettricità sempre più “verde” e competitiva.
Concludendo, ma se proprio volevamo fare una connessione utile alla sostenibilità, non era meglio connettersi a un paese balcanico già ricco di idroelettrico, come Albania o Croazia, i cui bacini potevano essere usati anche come “sistema di accumulo” per i nostri eccessi eolici e solari, oppure collegarci un paese del Nord Africa, e importare da esso grandi quantità di elettricità solare?
In realtà il Montenegro è già collegato con linee ad alta tensione all’Albania e, attraverso Serbia e Bosnia, alla Croazia. Quindi, se, servirà, scambieremo energia anche con loro, utilizzando il loro idroelettrico. Per quanto riguarda il Nord Africa è in programma al 2027 la realizzazione di ELMED, un nuovo collegamento HVDC tra la Tunisia e la rete siciliana. L’opera è ritenuta di rilevanza strategica per il sistema elettrico di trasmissione del bacino mediterraneo e fornisce uno strumento addizionale per ottimizzare l’uso delle risorse energetiche tra Europa e Nord Africa. Per tale ragione, è incluso nella lista dei progetti di interesse comunitario. Inizialmente funzionerà prevalentemente in export verso la Tunisia, soprattutto nei momenti di elevata produzione da fonti rinnovabili al Sud. Ma sul lungo periodo potrà essere sfruttato anche in importazione favorendo lo sviluppo e l’utilizzo della produzione da fonti rinnovabili in Tunisia e nell’area Nord-Africana.
Come si vede Terna è più che convinta dell’utilità strategica di questo collegamento. Per vedere se veramente l’elettricità balcanica renderà la nostra più economica e più verde, non ci resta che aspettare i primi report su quale tipo di energia e a che costi passerà nel nuovo cavo sottomarino.
Nel frattempo, non per disfattismo, ma vista l’esperienza dell’elettrodotto Calabria-Sicilia, che avrebbe dovuto annullare le stratosferiche differenze di prezzo fra continente ed isola, e che invece, finora, le ha solo ridotte, preferiamo rimanere un po’ scettici sulle sue virtù salvifiche del nuovo collegamento.
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