Clima, contro l’inazione dei governi la disobbedienza civile
articolo pubblicato sul n. 5/2018 della rivista bimestrale QualEnergia
In molti si lamentano che il rapporto speciale dell’Ipcc, “Global Warming of 1,5 °C” non ha trovato una grande eco nella sfera pubblica di questo Paese.
“Indifferenza totale”, “in Italia interessa a nessuno”, “nessuna prima pagina riportava la notizia” erano le lamentele sui social media e sui blog dei giornalisti ambientali ed esperti nel campo.
La prima domanda da rivolgere al popolo dei giornalisti ambientali ed esperti del clima sarebbe: «che differenza ha fatto questo rapporto speciale molto allarmante a voi che deplorate l’indifferenza dei colleghi, della politica, del pubblico generale? Che cosa vi cambierà nella vita?»
The Guardian sostiene: “12 anni per evitare la catastrofe”. Va bene. Anzi, va male. Però che ne consegue per chi giustamente è allarmato da questo rapporto? Per altri sei anni continuare a girare con il diesel sotto casa, per poi comprare i successivi sei anni un’auto elettrica? Cancellare la carne dalla propria dieta? Viaggiare in treno per raggiungere la Cop 24 a Katowice?
In Inghilterra un gruppo di “cittadini preoccupati” ha deciso di fare un ulteriore passo e organizzare una campagna di disobbedienza civile di massa. Si chiama “Extinction Rebellion” e al centro si trova un gruppo di cento e più persone “senior” del mondo accademico, incluso Rowan Williams, già arcivescovo di Canterbury.
In una lettera pubblica scrivono: «Non tollereremo l’incapacità di questo o di qualsiasi altro governo di intraprendere azioni solide e di emergenza in relazione al peggioramento della crisi ecologica. La scienza è chiara, i fatti sono incontrovertibili. […] Il ‘contratto sociale’ è stato infranto, e quindi non è solo nostro diritto, ma il nostro dovere morale di aggirare l’inazione del governo e il flagrante abbandono del dovere, e di ribellarci a difendere la vita stessa».
Il gruppo chiede la riduzione delle emissioni di anidride carbonica a zero entro il 2025 e di istituire una “assemblea civica” per elaborare piani d’azione d’emergenza simile all’esperienza durante la Seconda guerra mondiale.
Il richiamo alla mobilitazione della Seconda guerra mondiale è stato fatto nell’ultimo decennio da numerosi ambientalisti come Al Gore, Naomi Klein o Bill McKibben e nel 2011 un gruppo di organizzazioni ambientali, tra cui 350.org, Sierra Club, Greenpeace, Amici della Terra hanno mandato una lettera ai presidenti Obama e Hu Jintao chiedendo una “mobilitazione come in tempi di guerra” (wartime-like mobilization) negli Stati Uniti e Cina.
La differenza di “Extinction Rebellion” è che va oltre la composizione di una lettera che chiede ai potenti della terra di agire. Anzi, l’inazione del governo per loro crea non solo il diritto, ma il dovere di infrangere la legge per fermare “le conseguenze terribili dell’inazione, dalle inondazioni agli incendi incontrollati, eventi meteorologici estremi alla perdita dei raccolti e il collasso inevitabile della società”.
La conclusione? «We have a duty to act», è il nostro dovere agire. Dentro e fuori la legge nel quadro della disobbedienza civile, come gli attivisti contro l’estrazione della lignite in Germania “Ende Gelände”, le proteste contro il fracking nel Regno Unito e contro la Keystone XL pipeline negli Stati Uniti.
La disobbedienza civile richiede coraggio e difficilmente è rivendicabile come dovere verso un pubblico generale. Però un rapporto talmente allarmante come 1,5 °C solleva la domanda su cosa deve succedere per sollecitare gli altri a prendere atto della minaccia epocale sotto gli occhi alle azioni dirette di coloro che non possono pretendere di non sapere.
Se i cambiamenti climatici sono davvero la crisi esistenziale della nostra epoca, e tutti i segnali puntano in questa direzione, forse l’attenzione non dovrebbe essere rivolta all’indifferenza degli uni, ma alla differenza che possono fare gli altri.
L’articolo è stato pubblicato sul n.5/2018 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “1,5° necessari”
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