Come solare ed eolico proteggono falde acquifere e agricoltura
Si dice che le prossime guerre nel mondo si combatteranno per il controllo delle risorse idriche fra nazioni che condividono gli stessi bacini fluviali, come Etiopia ed Egitto o Turchia e Iraq, perché le nazioni a monte, potrebbero, in caso di grave siccità, decidere di trattenere le acque nei loro bacini, non curandosi delle esigenze di città e campi di chi sta a valle.
Ma oltre a queste guerre fra nazioni, la scarsità d’acqua che il cambiamento climatico provocherà sempre di più in molte aree del pianeta, rischia di innescare anche una sorta di “guerra civile” all’interno delle nazioni, fra chi detiene i bacini elettrici, e quindi tende ad accumulare l’acqua a monte, per usarla quando più gli conviene, e chi vorrebbe usare l’acqua del fiume a valle per irrigare. E, a parte il danno economico, se l’acqua superficiale non arriva, gli agricoltori pompano quella sotterranea, con il rischio, se esagerano, di prosciugare le falde.
Anche in Italia, negli anni di siccità, come il 2017, si assiste a polemiche fra i vari utilizzatori d’acqua e su come debba essere suddivisa.
Ma in pochi posti al mondo come la California, la “lotta per l’acqua” è incandescente, visto che in un clima che si potrebbe paragonare a quello siciliano, si contendono le risorse idriche impianti idroelettrici, megalopoli e la più ricca agricoltura del mondo, a cui servono decine di chilometri cubi di acqua ogni anno, per produrre quei 47 miliardi di dollari di cibo che vende negli Usa e nel mondo.
L’ingegnere civile Xiaogang He della Princeton University si è chiesto perché, durante la grande siccità californiana del 2012-2017, la peggiore mai registrata storicamente, i conflitti per l’acqua siano stati tutto sommato meno drammatici di quello che ci si sarebbe dovuto aspettare.
La risposta che ha fornito su Nature Communication è sorprendente: grazie allo sviluppo di rinnovabili come eolico e solare decollati proprio nel 2012.
Per arrivare a questa conclusione, Xiaogang He ha utilizzato un metodo spesso impiegato in scienze politiche, per valutare come risolvere i conflitti fra gruppi di interesse.
Ha creato un grafico dove ha indicato nelle ordinate la produzione idroelettrica californiana e nelle ascisse quanta acqua avrebbero dovuto pompare dal sottosuolo gli agricoltori californiani per sostituire quella dei fiumi trattenuti dalle dighe, in tre diversi scenari di piovosità: alta, media, scarsa. Lo scopo era di trovare l’area di compromesso fra le due esigenze, senza che uno dei due contendenti fosse “rovinato”, e senza che a pagare il conto fosse l’ambiente.
È risultato che senza l’apporto delle rinnovabili, e specialmente del fotovoltaico, che negli anni della siccità ha prodotto il 27% in più della media, i casi sarebbero stati due: o per accontentare entrambi i contendenti le falde californiane sarebbero state asciugate in modo insostenibile, o uno dei due utilizzatori di acqua sarebbe stato messo sul lastrico.
Solare ed eolico, che nel 2012 coprivano già il 17% delle produzione elettrica californiana, hanno permesso di invece sostituire abbastanza di quella idroelettrica, così da permettere di usare per l’irrigazione parte dell’acqua risparmiata dei bacini, evitando parte del pompaggio dal sottosuolo.
«Visto che i piani energetici dello Stato prevedono che al 2050 il 40% dell’elettricità provenga da queste due fonti, quando sarà necessario risparmiare acqua in futuro si potrà ridurre ulteriormente l’uso dell’idroelettrico. Quindi direi che la California sarà in grado di prevenire i conflitti energia-agricoltura, anche durante future siccità, pure se peggiori di quella del 2012-17», dice He.
«Bisognerà però pensare anche a meccanismi di aiuto per gli operatori delle centrali idroelettriche, perché non siano del tutto spinti fuori dal mercato: la loro funzione di accumulo elettrico, che aiuta a compensare l’intermittenza di sole e vento, andrà adeguatamente remunerata, anche quando la loro produzione sarà meno necessaria di oggi».
Insomma, le fonti rinnovabili che non usano acqua, non solo aiutano a tagliare le emissioni di CO2, ma rendono anche i sistemi elettrici più resilienti nei confronti dello stress da siccità, evitando blackout, e permettono di aumentare la quota di acqua superficiale utilizzabile dall’agricoltura durante le siccità, prevenendo che si usi quella di falda a un ritmo insostenibile.
A dire il vero, sole e vento non sono neanche le uniche fonti ad aver salvato la California da una guerra dell’acqua, un altro importante fattore, ha spiegato He, è stato l’aumento dell’uso del gas naturale, che ha anch’esso contribuito a ridurre la necessità di idroelettrico.
Infatti, una seconda ricerca conferma che il gas naturale sarebbe un “salva acqua”, almeno rispetto all’uso di carbone. L’ha pubblicata su Environmental Research Letters il geochimico Avner Vengosh, della Duke University, calcolando l’uso di acqua dalle due fonti termoelettriche, dall’estrazione del combustibile, fino alla produzione di elettricità.
Si potrebbe pensare che la produzione termoelettrica sia in fondo responsabile di un uso ridotto di acqua, rispetto agli altri impieghi, ma negli Stati Uniti, fra carbone, gas e nucleare, ben il 40% delle acque prelevate da laghi e corsi d’acqua serve per quelle fonti.
Le centrali a gas producono elettricità in tutto o in parte bruciando il metano in una turbina a gas, un po’ come accade nei motori jet degli aerei, cosa che richiede poca acqua di raffreddamento; solo nel caso dei cicli combinati aggiungono un secondo stadio che richiede la produzione di vapore per le turbine a vapore. Le centrali a carbone, invece, usano solo le classiche caldaie per alimentare turbine a vapore, con grande consumo di acqua (vedi anche i rischi in Asia per le centrali a carbone).
Sul fronte minerario, è vero che il gas naturale da fracking richiede tantissima acqua per fratturare le rocce, ma non tutto il metano si estrae così, e anche le miniere a carbone non scherzano quanto a consumi idrici. Per questo, secondo il ricercatore, c’è un sostanziale pareggio fra le due fonti.
Il risultato finale, ha stimato Vengosh, è che per ogni MWh prodotto da una centrale a carbone, si consumano 37mila litri in più di acqua, rispetto al MWh da metano, con una riduzione finale di circa 1000 litri di acqua perduta per evaporazione, quella cioè che non ritorna nel corso d’acqua da cui è stata prelevata.
«Visto che negli Usa l’uso del gas nella produzione elettrica continua a crescere, e ha ormai sorpassato il carbone, con il 35% dell’elettricità che nel 2018 è arrivato dalla prima fonte, contro il 27% dalla seconda, continuando così al 2030 gli Usa useranno 1.800 miliardi di metri cubi in meno di acqua per questo scopo», spiega l’ingegnere della Duke University.
«E se un giorno il gas sostituisse del tutto il carbone, il risparmio sarebbe di 46.000 miliardi di litri d’acqua, quasi tre volte quella usata in un anno da tutta l’industria americana». Oppure, se vogliamo, un mese di portata del fiume Mississippi.
Ma, viene da chiedersi, e se facessimo a meno anche del gas, passando all’energia solare ed eolica, allora quanta acqua si eviterebbe di usare?
Ecco la risposta di Vengosh: «Quasi tutta quella necessaria alla produzione elettrica, visto che solare ed eolico, a parità di produzione, richiedono circa il 98% in meno di acqua di quanto ne usi una centrale a carbone».
Powered by WPeMatico