Contro la metanizzazione della Sardegna i Comuni possono lanciare un segnale forte
Lo avevamo scritto qualche tempo fa: perché i Comuni sardi non decidono di adottare quella delibera contraria alla metanizzazione e a favore di un sistema energetico realmente green come hanno fatto le amministrazione di Villanovaforru (delibera in pdf) e Olzai su proposta anche del Comitato No Metano e di ISDE – Medici per l’Ambiente Sardegna?
Anche l’ANCI Sardegna sembra essere d’accordo, andando così contro le politiche indicate dalla Regione che punta ancora sul carbone e vuole il gas per l’isola, ma dovrà farsi promotore di questa battaglia.
Una nota del Comitato NO Metano in Sardegna ripropone questa idea affinché le amministrazioni comunali sarde (377 Comuni) sotto l’egida di ANCI Sardegna lancino un segnale all’esecutivo regionale e al governo nazionale: “inaugurare un nuovo corso energetico basato sulle rinnovabili che trasformi la Sardegna in un polmone verde”, abbondonando il carbone (due centrali ancora attive in Sardegna), che la giunta regionale vorrebbe rendere operative oltre la data del phase out previsto nel 2025, e l’ipotesi di sviluppo della dorsale del gas e/o rendere l’isola anche una sorta di hub/centro di stoccaggio del gas nel mediterraneo.
Come è risaputo l’attuale giunta regionale guidata da Christian Solinas, sta appoggiando il programma di metanizzazione della precedente giunta Pigliaru (con depositi costieri, rigassificatori, dorsale sarda e reti cittadine) e spinge anche per un nuovo metanodotto sottomarino Sardegna-continente. Un progetto complesso e ben poco trasparente su impatti e costi.
Il Comitato NO Metano chiede che le amministrazioni comunali “propongano il confronto all’interno delle comunità, intervenendo nei diversi procedimenti di valutazione d’impatto ambientale aperti presso il Ministero dell’Ambiente”. “I Comuni – chiede inoltre nella nota – devono dare un segnale politico chiaro che bocci l’intero programma di metanizzazione e non solo il metanodotto: si passi dalle parole ai fatti”.
In riferimento al metanodotto, il comitato ricorda poi che i lavori per la sua realizzazione interesseranno centinaia di fondi coltivati (uliveti, vigneti, seminativi, colture orticole, seminativi e aree destinate a pascolo) e decine di ettari di aree boschive (con annessi tagli), interferendo con la normale attività agricola e l’equilibrio degli ecosistemi naturali (sono 73 i comuni direttamente coinvolti dal passaggio del metanodotto).
La servitù contratta dai fondi coinvolti dal passaggio dell’opera porterà inoltre ad una perdita di valore dei terreni. Non si può nemmeno escludere il rischio di impatti sulle falde che alimentano i pozzi e le sorgenti. Sono inoltre previste decine di attraversamenti fluviali in aree contraddistinte da pericolosità idraulica molto elevata (HI4), senza un’esaustiva verifica dell’adeguamento dei PUC al PAI. Sono decine, inoltre, i terreni destinati ad uso civico di cui si chiederà il cambio di destinazione per la costruzione della dorsale.
Non indifferenti poi le problematiche connesse alle altre infrastrutture legate ad un ipotetico sviluppo del gas sull’isola.
Ma la domanda che si pone il comitato è: “i comuni sardi sono disposti ad approfondire l’argomento, valutare e agire?”.
Il ruolo delle amministrazioni locali e dell PMI sarde può essere importante, uscendo dalla consuete logiche che tendono a lasciare mano libera agli investimenti che vengono da fuori e con scarse ricadute sull’economia dell’isola.
Ricordiamo, a tal proposito, che è in atto in Sardegna una sperimentazione in due piccoli paesi i cui comuni possiedono la rete. “Una sorta di smart village in cui sono protagoniste le amministrazioni locali, imprese di media grandezza capaci di approntare software e hardware per stoccare e distribuire energia, agenzie R&S capaci di fare l’assistenza tecnica”, come ha spiegato su queste pagine Giorgio Osti, curatore di una ricerca sociologica sulla transizione energetica della Sardegna.
Forse, partendo proprio dalla Sardegna, è necessario non guardare più al passato, ma progettare un futuro energetico diverso e non fossile e convenzionale. Serve questo coraggio.
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