Dissesto idrogeologico, nuove tecnologie per monitorare le frane e aiutare i comuni a gestire meglio le proprie risorse
L’Italia è il paese più franoso d’Europa, sia a causa della morfologia spiccatamente montano-collinare del nostro paese, sia a causa della mano sempre più pesante con cui gli esseri umani hanno modificato l’uso del suolo negli anni.
Preso atto di tale realtà, naturale o artificialmente creata che sia, c’è chi si sta ingegnando per visualizzare questa situazione con occhi diversi, per consentire alle amministrazioni locali di monitorare più attentamente il dissesto idrogeologico, minimizzarne i danni futuri e gestire più efficacemente le proprie risorse.
In un esempio concreto di collaborazione fra pubblico e privato, a ingegnarsi in questo caso sono stati un comune del messinese assieme a l’ENEA e a Planetek Italia srl, mentre gli occhi sono quelli dei satelliti dalla rete Sentinel dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).
L’ENEA ha infatti avviato una collaborazione con il Comune di Altolìa, in provincia di Messina, per lo studio e il monitoraggio del dissesto idrogeologico attraverso l’uso di immagini satellitari, radar e ottiche.
I satelliti catturano le immagini del territorio con una risoluzione di 10 metri, Planetek raccoglie i dati attraverso la piattaforma Rheticus ed ENEA li analizza, fornendo al comune di Altolìa strumenti conoscitivi e interpretativi dei movimenti del suolo.
I servizi geo-informativi forniti da Rheticus monitorano l’evoluzione della superficie terrestre e includono servizi per seguire la dinamica della morfologia del terreno, della vegetazione, delle infrastrutture e delle acque marino-costiere, finalizzati sia al monitoraggio degli aspetti ambientali che produttivi.
Lo scopo non è tanto quello di prevenire le frane, anche se i dati in proiezione futura potranno servire pure ad una migliore gestione del territorio e quindi ad evitare azioni che predispongano il suolo a franare. Piuttosto, la sperimentazione mira a consentire agli amministratori di conoscere molto meglio e in modo molto più tempestivo i movimenti del suolo e delle acque sul proprio territorio e quindi a orientare le loro risorse là dove ce ne è più bisogno.
Secondo Francesco Immordino, che si occupa di tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali presso il Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA, ricorrere ai satelliti per questo tipo di monitoraggio consente un uso più efficiente delle risorse e una maggiore produttività.
Con il monitoraggio satellitare si riesce a coprire un’area molto più vasta in un tempo infinitamente minore rispetto a quando il monitoraggio era affidato esclusivamente ad osservazioni sul campo da parte dei ricercatori, che fisicamente dovevano prendere un auto e guidare in lungo e in largo per zone magari impervie alla ricerca di movimenti del terreno anche poco marcati.
Un po’ tutte le frane, infatti, prima di diventare tali e assumere il proprio carattere dirompente, sono state semplicemente lenti e millimetrici spostamento del suolo, verso il basso, o in certe occasioni anche verso l’alto, se due zone di suolo si scontrano al rallentatore producendo un innalzamento del terreno.
Con i satelliti e l’elaborazione dei dati, “si riescono a creare velocemente delle mappe con migliaia di punti di colore diverso, a seconda della velocità di avvicinamento o allontanamento del suolo rispetto al satellite,” ha detto Immordino. I ricercatori possono così andare molto più a colpo sicuro e gli amministratori dare priorità agli eventi franosi più pronunciati.
Nell’illustrazione, i punti i verdi rappresentano zone con suolo sostanzialmente stabile, i gialli indicano una certa velocità di spostamento del suolo, che potrebbe richiedere una maggiore attenzione, mentre i rossi rappresentano le porzioni di territorio con la velocità di spostamento più pronunciata, da monitorare quindi con una attenzione massima.
Nel caso di Altolìa, le osservazioni satellitari vengono fatte con una frequenza di soli 2-4 giorni e anche la velocità di avvicinamento o allontanamento del suolo dal satellite è comunque ridotta, pari a circa 4-6 millimetri l’anno. In altre situazioni più a rischio, questo tipo di monitoraggio può avere una frequenza di osservazione molto maggiore.
Il progetto è iniziato nell’agosto 2019 e terminerà nel 2020. Un team di geologi andrà in Sicilia a fine novembre per condurre i primi rilievi sul campo, soprattutto nelle zone contrassegnate con i puntini rossi.
Questa nuova tipologia di indagine, che accoppia i dati satellitari allo studio sul campo, è applicabile in qualunque altra area d’Italia. Per il momento, è in corso un piano di fattibilità per estenderla a tutto il Comune di Messina e di Niscemi.
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