E se per l’accumulo puntassimo sull’ammoniaca?
Tutti conoscono l’ammoniaca, se non altro come uno dei composti chimici con l’odore peggiore: un misto di pungente e rancido, che gratta la gola come carta vetrata.
Molti meno sanno però che questo composto fatto da un atomo di azoto e tre di idrogeno (NH3), è anche una delle più promettenti soluzioni per immagazzinare energia, forse addirittura meglio di quanto si possa fare con batterie, idrogeno o metano di sintesi.
L’ammoniaca, infatti, è una delle molecole contenenti, in proporzione al suo peso totale, la maggior quantità di idrogeno ancora utilizzabile come combustibile (perché non legato all’ossigeno), seconda in questo solo al metano.
Ma a differenza di quest’ultimo, che si liquefa, riducendo il suo volume di 600 volte, solo a temperature di 160 °C sotto zero, e che per la sua sintesi richiede del carbonio, non sempre disponibile, l’ammoniaca diventa liquida a temperatura ambiente, comprimendola a 8 atmosfere, e può essere sintetizzata da due degli elementi più comuni sulla Terra: l’azoto dell’aria e l’idrogeno dell’acqua.
Per queste caratteristiche fisico-chimiche, sono ormai molti anni che nel mondo della ricerca e dell’industria gira l’idea di usare elettricità in eccesso da sole o vento, per produrre ammoniaca, stoccarla in forma liquida anche per lunghi periodi, e poi utilizzarla come combustibile, o per ottenere di nuovo elettricità, o anche come carburante per i trasporti.
Anzi, l’uso dell’ammoniaca come carburante era comune già durante la seconda guerra mondiale, quando benzina e gasolio erano scarsi, e nel 2012 l’Università di Pisa aveva presentato un furgone mosso da questo combustibile.
Oggi però l’ammoniaca potrebbe rendere più realistica la prospettiva di auto, navi o camion a idrogeno: invece di contare su un gas che richiede bombole ad alta pressione e infrastrutture di trasporto e distribuzione dedicate e costose, fare il pieno con un liquido ricco di idrogeno come NH3, ma non più complesso da trasportare e stoccare del GPL, renderebbe tutto più semplice, economico e veloce, anche rispetto alle auto elettriche a batterie.
E non è detto che debba per forza bruciare nei cilindri del motore a scoppio: in Australia è stata recentemente inventata dal chimico Douglas MacFarlane, della Monash University di Melbourne, una cella a combustibile che trasforma NH3 direttamente in elettricità, emettendo solo acqua, azoto e un po’ di calore.
L’uso di ammoniaca per i trasporti è però reso problematico dal fatto che questo gas è tossico, e un grave incidente stradale che coinvolga mezzi alimentati con questo gas potrebbe trasformarsi in una strage.
Questo è però un problema molto meno grave per l’uso di ammoniaca come stoccaggio di energia, una prospettiva a cui stanno cominciando seriamente a pensare industrie del calibro di Siemens, che dall’estate scorsa sta sperimentando, con il Science and Technology Facilities Council delle Università di Oxford e Cardiff un dimostratore di sistema di accumulo ad NH3, che produce questo gas con energia rinnovabile, e poi la riconverte in elettricità tramite una turbina.
«Bruciare NH3 ha però un grave difetto: si emettono ossidi di azoto, o NOx, che sono al tempo stesso gas inquinanti, tossici e climalteranti», ammette il manager del progetto Ian Wilkinson. «Ma – spiega – per fortuna il rimedio esiste ed è relativamente semplice: aggiungere all’impianto un sistema di abbattimento degli NOx simile a quelli in uso nelle auto diesel più pulite».
Ma si può fare anche di meglio, come ha dimostrato una ricerca condotta alla Kumamoto University in Giappone, dove hanno messo a punto un catalizzatore a base di rame e alluminio, in grado di far reagire già durante la combustione gli NOx con l’ammoniaca, ottenendo alla fine nei fumi solo acqua e azoto.
E sempre in Giappone stanno pensando anche a come migliorare la prima fase di ogni futuro sistema di accumulo a base di NH3: quello della produzione stessa del gas.
Com’è noto oggi l’ammoniaca si produce, quasi tutta per fare fertilizzanti, da circa 110 anni usando il sistema inventato dal chimico tedesco Fritz Haber: una reazione a 200 atmosfere e 300 °C di temperatura, fra idrogeno estratto dal metano e azoto dell’aria, che finisce per liberare anche in aria un sacco di CO2.
Il sistema Haber è certamente adatto alla grande industria, che sforna 140 milioni di tonnellate annue di ammoniaca nel mondo, ma non certo per piccoli impianti di stoccaggio energetico.
Così alla società giapponese JGC Corporation, con l’aiuto del Japanese National Institute of Advanced Industrial Science and Technology, hanno messo a punto un metodo elettrochimico di produzione di NH3, che usa solo elettricità, aiutata da un catalizzatore al rutenio, per produrre idrogeno dall’acqua e poi far reagire questo con l’azoto dell’aria. Il tutto a pressione e temperatura ambiente.
Al tempo stesso, poche settimane fa, Julie Renner, della Case Western Reserve University, ha ideato un sistema ancora più semplice per produrre NH3, che non richiede neanche un catalizzatore con metalli rari: tramite corrente elettrica si trasforma in plasma (gas ad altissima temperatura) una miscela di aria e vapor d’acqua, così che l’azoto della prima e l’idrogeno della seconda reagiscano da soli, senza bisogno di separarli dalle molecole originali.
«Usando solo acqua, aria ed elettricità, è il metodo ideale per produrre ammoniaca su piccola scala», ricorda Renner. «Purtroppo la sua efficienza è ancora bassa, ma siamo solo all’inizio e possiamo notevolmente migliorarla».
In effetti, creare un’alternativa valida al metodo Haber, realizzando con essa sistemi di produzione della NH3 semplificati e di piccole dimensioni, consentirebbe di fabbricare ammoniaca ovunque sia disponibile elettricità rinnovabile, aria ed acqua, per esempio villaggi o fattorie isolate potrebbero prodursi da sole sia i propri fertilizzanti azotati che il carburante per auto e macchinari.
Ma, soprattutto, la produzione di ammoniaca in aree ricche di energia solare o eolica raggiungibili via mare, come certe isole oceaniche o coste desertiche, potrebbe rivoluzionare il sistema energetico.
Come ha fatto notare il The United Kingdom’s Committee on Climate Change, nel novembre scorso «occorrerebbe produrre idrogeno in forma liquida, come ammoniaca per esempio, tramite l’abbondante energia solare disponibile vicino all’equatore, e poi trasportarla via nave fino a centrali turbogas, appositamente adattate all’uso di questo combustibile».
In questo modo si creerebbe un sistema di commercio internazionale dell’energia non fossile, che permetterebbe a tanti paesi ricchi di sole e vento, di trasformare questa loro ricchezza in una forma commerciabile, vendendola a paesi meno ricchi di fonti rinnovabili, evitandogli così di dover creare in loco sistemi a rinnovabili al 100%, che in certi casi sarebbero veramente difficili da implementare.
Questo semplificherebbe e velocizzerebbe di molto la transizione energetica.
L’ammoniaca, insomma, potrebbe diventare una sorta di “petrolio non fossile”, che alimenterebbe il mondo senza aggiungere una goccia di CO2 in più all’atmosfera: buffo destino da “salvatore del mondo”, per il più pestilenziale dei gas.
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