Emissioni, ecco perché l’auto elettrica non sarà la panacea di tutti i mali
In diversi paesi europei il sistema dei trasporti è responsabile di un’ampia percentuale delle emissioni climalteranti. Se in Gran Bretagna siamo al 27%, in Italia nel 2015 questo settore ha rappresentato quasi il 25% di tutte le emissioni, in aumento rispetto al 1990 quando non raggiungeva ancora il 20%.
Nello stesso periodo, con eccezione del settore Commercio/Servizi e Pubblico, in Italia sono diminuite le emissioni di gas serra di tutti gli altri settori e quelle complessive (13% circa).
Sebbene il pacchetto “Unione dell’Energia” preveda una riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030, sarà necessario selezionare, implementare e monitorare le politiche di decarbonizzazione con un occhio di riguardo al settore dei trasporti (sul tema vedi anche Scenari per un sistema dei trasporti 100% a fonti rinnovabili: per le città e le brevi distanze).
Nella tabella le emissioni dal report Ispra (vedi sotto link).
Conversione del trasporto privato in EV: effetti collaterali inattesi e indesiderati
Diversi studi hanno richiamato l’attenzione sulla opportunità di guardare al problema del trasporto con una visione sistemica, che vada oltre la semplice, se pur opportuna, trasformazione dei motori termici in elettrici.
“More than electric cars” (pdf) e “Planning for less car use” (pdf) sono i primi di una serie di studi in fase di pubblicazione a cura dell’associazione ambientalista Friends of the Earth con i consulenti di Transport for Quality of Life.
A sostegno della inadeguatezza delle politiche governative britanniche (e non solo), focalizzate solo sull’elettrificazione dei veicoli, lo studio cita l’esperienza norvegese.
Nel 2018 in Norvegia i veicoli elettrici hanno rappresentato oltre il 45% dei nuovi veicoli venduti. È emerso tuttavia che questi incentivi hanno incoraggiato il maggior uso dell’automobile a svantaggio del servizio pubblico: tra gli acquirenti di auto elettriche, la quota di utilizzo del trasporto pubblico per il pendolarismo è diminuita da circa il 23% a meno del 6%, mentre l’uso dell’auto è aumentato dal 65 all’83%.
L’esperienza norvegese ci dice che gli incentivi possono essere armi a doppio taglio, meglio quindi se sono ben disegnati: erogati a fronte della rottamazione di un veicolo esistente e mantenuti solo fino al raggiungimento della parità di costo rispetto ai veicoli tradizionali.
In parallelo bisognerebbe destinare analoghi incentivi a sostegno degli abbonamenti al trasporto pubblico e all’uso di e-car e e-bike sharing, vincolandoli alla rottamazione di un mezzo obsoleto. È stato calcolato che in Gran Bretagna, anche se tutte le nuove automobili vendute entro il 2030 saranno elettriche, sopravvivrà circa il 40% dell’intera flotta alimentato con combustibili fossili.
Contenere le emissioni del settore dei trasporti richiede di:
- intervenire per ridurre il numero complessivo di chilometri percorsi dagli autoveicoli;
- adottare tecniche di guida finalizzate a ridurre il fabbisogno di energia, sia fossile che rinnovabile;
- ridurre il consumo energetico dei veicoli durante l’intero ciclo di vita attraverso l’innovazione tecnologica.
Ma non basta.
Pianificare l’utilizzo del suolo per concentrare gli insediamenti nelle aree urbane
Traguardare l’obiettivo di 1.5 °C attraverso politiche che vadano oltre lo switch elettrico delle auto significa anche ottenere una migliore qualità dell’aria, strade più sicure, maggiore sicurezza per la popolazione, quartieri più silenziosi, più spazio di convivialità, un sistema di trasporto pubblico più accessibile.
Affinché tutto questo possa realizzarsi occorre rendere superfluo l’utilizzo delle auto e toglierle letteralmente dalle strade. Come? Attraverso una pianificazione dell’uso del suolo che riduca le distanze e la necessità di spostarsi con l’auto (nella foto in alto il progetto “Boschetti” per una visione futura del tratto corso Buonos Aires-P.le Loreto).
Numerosi studi dimostrano che concentrare gli sviluppi nelle aree urbane e pianificare insediamenti compatti, densi e diversificati, con un buon accesso a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici sono fattori chiave, tra loro correlati, per ridurre la distanza percorsa in auto.
Il più importante di questi è l’ubicazione degli insediamenti, da realizzare in posizioni centrali per generare meno viaggi in auto rispetto a insediamenti progettati in posizione remota. Si stima che le emissioni di CO2 dalle periferie, nel percorso casa-lavoro, siano 2-3 volte superiori a quelle delle famiglie che risiedono nei quartieri centrali.
Le emissioni di CO2 dei trasporti tendono a diminuire anche con l’aumento della densità residenziale, il che consente un migliore trasporto pubblico e rende più accessibili le destinazioni a piedi o in bicicletta.
Si è riscontrato che aumentare la densità abitativa da meno di 10 abitazioni per ettaro (aph) a più di 40 aph riduce la probabilità di guidare di un fattore tre.
Per supportare un servizio di trasporto di massa di alta qualità come un tram le densità abitative minime dovrebbero essere intorno a 100 aph. Tali densità non richiedono grattacieli ma possono essere raggiunti con edifici di bassa o media altezza (3-6 piani), in sviluppi dal design accattivante, con un mix di case e grandi quantità di spazio verde.
Soluzioni che prevedono un mix di usi in una stessa area (residenza, opportunità di lavoro, scuole, negozi, servizi, ecc.) e la progettazione della rete stradale con blocchi brevi e molte interconnessioni stradali riducono le distanze che le persone hanno bisogno di percorrere e incoraggiano di più a camminare. Vivere a breve distanza dal trasporto pubblico aumenta anche la probabilità di usarlo.
Per integrare questi approcci occorre introdurre misure di gestione della domanda riducendo il numero dei posti auto nelle nuove costruzioni e eliminando i parcheggi dai centri urbani. Queste e altre restrizioni del traffico nelle aree urbane possono aiutare a scoraggiare i viaggi in auto e prevenire la congestione associata alla densificazione del costruito.
La continua espansione della viabilità extraurbana e interurbana determina un circolo vizioso che porta più abitazioni nelle periferie, più strade e ulteriore diffusione a macchia di leopardo del costruito.
Piuttosto che espanderci nelle periferie e nelle aree rurali dovremmo costruire di più nelle aree già urbanizzate. Riducendo lo spazio per le auto possono essere costruite più case e realizzati più spazi aperti in una determinata area rispetto a uno sviluppo a bassa densità. Migliorare il trasporto pubblico e facilitare gli spostamenti a piedi e in bicicletta, contribuirà ulteriormente a ridurre i viaggi in auto dei residenti.
ISPRA e il caso di Friburgo
“Immaginiamoci che tutto il parco auto circolante sia sostituito da auto elettriche. Non avremmo risolto i molti mali procurati dalle auto in circolazione attualmente. Innanzitutto lo spazio rubato alle città, non sarà liberato. Le congestioni e il traffico rimarrebbero gli stessi.”
Lo scrive Ispra nella pubblicazione “Ridurre le emissioni climalteranti – Indicazioni operative e buone pratiche per gli Enti Locali” (pdf), in cui dedica una sezione specifica alla mobilità sostenibile dove scrive, “l’auto elettrica non sarà la panacea di tutti i mali”.
Il progetto “Learning while planning” della città di Friburgo, una delle best practices citate nella pubblicazione, ha come obiettivo quello di imparare a pianificare quartieri che non necessitano dell’auto. È un progetto pilota di quartiere in cui sono stati adottati molti dei criteri della sostenibilità anche per la mobilità e i trasporti.
Si tratta del quartiere ecologico di Friburgo Vauban che, iniziato nel 1993, ha recuperato un’area preesistente, ha attivato la partecipazione dei cittadini al processo di pianificazione, ha scelto di utilizzate risorse rinnovabili, disincentivando l’uso dell’auto (meno del 50% dei cittadini possiede un’auto), sostenendo il trasporto pubblico e disponendo asili, scuole, centri commerciali, supermercati a uffici, entro una distanza percorribile a piedi o in bicicletta.
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