Energia e clima, senza una carbon tax globale non si va da nessuna parte
Non si può fare a meno di una carbon tax globale per ridurre le emissioni inquinanti.
La proposta di tassare la CO2 in modo uniforme in tutto il mondo è tornata alla ribalta nell’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale, Fiscal Monitor 2019 (allegato in basso), interamente dedicato agli strumenti fiscali volti a combattere il cambiamento climatico.
Tra le varie “armi” necessarie per diminuire le emissioni di gas a effetto serra, si legge nel documento, quelle più efficaci e potenti sono le tasse sul carbonio applicate ai combustibili fossili in proporzione al loro contenuto di CO2 (carbon content), perché spingono chi produce e utilizza l’energia a investire in tecnologie più pulite e a ridurre i consumi energetici complessivi.
A patto però che il costo della CO2 sia abbastanza elevato.
Secondo il Fondo monetario internazionale, per rimanere in linea con l’obiettivo fissato dagli accordi di Parigi – limitare sotto 2 gradi il surriscaldamento terrestre – si dovrebbe varare subito una carbon tax mondiale portandola rapidamente a 75 dollari per tonnellata di CO2 nel 2030.
Di recente, alcuni economisti hanno proposto una cura shock con una carbon tax da almeno 100 $/tonnellata: vedi qui lo studio della National Academy of Science americana.
Altri esperti di finanza, invece, sono convinti che già una tassazione intorno a 40 $/tCO2 sarebbe molto difficile (per non dire impossibile) da attuare a livello internazionale perché andrebbe a sovvertire gli equilibri geopolitici e sociali.
Il rovescio della medaglia, tornando alle stime del Fondo monetario internazionale, è che in dieci anni si assisterebbe un aumento notevole dei prezzi medi dell’energia per i paesi del G20: ad esempio, +43% per l’elettricità e +13% per la benzina.
Più in dettaglio, con una tassa di 75 $/tCO2 in Italia il prezzo medio del gas naturale salirebbe del 50% al 2030 e quello dell’elettricità del 18%, mentre la benzina avrebbe un incremento più contenuto (+9%).
D’altronde, lo scopo di una carbon tax è proprio questo: rendere poco conveniente l’impiego di fonti energetiche con elevato contenuto di CO2 e favorire il passaggio alle alternative più “verdi”.
Un punto fondamentale, quindi, raccomanda il Fondo monetario internazionale, è reinvestire i ricavi delle tasse sul carbonio – che potrebbero arrivare fino all’1,5% del Pil per i paesi del G20 – in misure per alleviare i disagi dei soggetti più immediatamente colpiti da una rivoluzione fiscale di così vasta portata (famiglie a basso reddito, pendolari, lavoratori delle industrie minerarie, eccetera).
In altre parole: è indispensabile collegare una carbon tax globale con una serie di politiche per tutelare le fasce più deboli della popolazione e del tessuto industriale dalla crescita dei costi energetici, attraverso una redistribuzione del gettito fiscale aggiuntivo – sotto forma di riduzione delle bollette ad esempio – oppure con un contemporaneo taglio di altre tasse.
Inoltre, si dovranno destinare più risorse agli investimenti in fonti rinnovabili, efficienza energetica, riqualificazione edilizia, trasporti elettrici e così via.
Anche un sistema per lo scambio delle quote di emissione, come l’ETS europeo (Emissions Trading Scheme) potrebbe funzionare con efficacia, si legge poi nel rapporto del Fondo monetario internazionale, ma solo se applicato a tutti i settori economici e con un prezzo sufficientemente alto della CO2.
Cosa che invece non è avvenuta negli anni passati sull’ETS europeo, a causa di un surplus invenduto/inutilizzato di quote che ha fatto crollare il costo della tonnellata di CO2 sul mercato.
Tra gli altri sistemi di carbon pricing citati dallo studio, ci sono quelli basati su schemi “feebates” (fees and rebates), cioè premi e penalità (tasse e sconti) sui prodotti energetici in base al loro livello di emissioni inquinanti, sopra/sotto una certa soglia “base” di riferimento.
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