Gas e transizione energetica: è un ponte o un muro?
Pulito, economico, indispensabile. Macché: il gas è niente di tutto questo, e il gas come “combustibile ponte” della transizione energetica è un falso mito contraddetto dai numeri.
Ecco, in sintesi, il giudizio su questa fonte fossile che esce dal nuovo rapporto di Oil Change International, Burning the Gas ‘Bridge Fuel’ Myth: Why Gas Is Not Clean, Cheap, or Necessary (allegato in basso).
Ci sono diversi motivi che spingono gli autori del rapporto a dichiarare “guerra” all’estrazione di nuovi idrocarburi in tutto il mondo; in sostanza, gli stessi motivi citati da un’altra organizzazione no-profit indipendente, Global Witness, nel suo recente studio Overexposed.
Quest’ultimo evidenzia che le multinazionali oil & gas potrebbero investire fino a cinquemila miliardi di dollari nei prossimi anni, per incrementare la produzione di petrolio e gas, ma tale espansione sarebbe del tutto incompatibile con gli obiettivi climatici di medio-lungo periodo fissati dagli accordi di Parigi.
Il tema fondamentale per dire “no” al gas e più in generale ai combustibili fossili, evidenzia Oil Change International, è che già utilizzando le riserve esistenti di petrolio, gas e carbone da tutti i pozzi e da tutte le miniere in attività/in corso di costruzione, l’industria del settore brucerà l’intero carbon budget compatibile con un surriscaldamento globale di +1,5/2 gradi centigradi entro fine secolo, come riassume il grafico sotto.
In altre parole: ogni goccia di petrolio in più, ogni pezzo di carbone in più, ogni metro cubo di gas in più, rispetto alle risorse attuali, porterà l’inquinamento a livelli insostenibili sotto il profilo ambientale.
Di conseguenza, la ricetta per azzerare le emissioni deve eliminare completamente la produzione e l’uso di carburanti tradizionali.
Compreso il gas, anche perché, si legge nel documento, le fonti rinnovabili sono diventate super-competitive rispetto alla generazione elettrica con fonti convenzionali, come chiarisce il prossimo grafico con i valori medi globali LCOE (Levelized Cost of Electricity) per le diverse tecnologie nel 2018.
Così nemmeno la sostituzione del carbone con il gas è una buona idea, poiché il vuoto lasciato dalla risorsa fossile più inquinante dovrebbe essere invece colmato con più rinnovabili e accumuli; è un tema che si sta affrontando anche in Italia nell’ambito del prossimo mercato della capacità (capacity market) e con la prevista chiusura di 8 GW a carbone entro il 2025.
E poi non solo l’eolico e il solare sono in grado di produrre elettricità a costi mediamente inferiori di gas/carbone, ma anche le batterie per l’accumulo energetico sono sempre più vicine all’essere la soluzione più conveniente, quando si parla di stabilizzare la rete con servizi di bilanciamento e regolazione.
Come precisa il grafico sotto, tra pochissimi anni, ad esempio, negli Stati Uniti sarà più economico investire in batterie piuttosto che in nuove unità a gas “di picco” (peaker plants), così definite perché servono essenzialmente a coprire le impennate dei consumi elettrici in determinate ore della giornata.
Questo scenario è proprio l’opposto della politica di Donald Trump, che continua a puntare sull’espansione dei giacimenti nazionali di petrolio e gas da scisto, anche per spingere le esportazioni di quelle che la Casa Bianca ha definito “molecole di libertà” (stava parlando di gas naturale liquefatto).
Intanto in Europa il dibattito sul ruolo futuro del gas si sta incentrando sulla possibilità di produrlo su vasta scala a zero emissioni grazie al biometano e all’idrogeno ricavato da fonti rinnovabili con tecnologie P2G, Power-to-Gas, anche se restano molti dubbi sul potenziale di queste soluzioni, considerando i costi ancora elevati, senza dimenticare che nella definizione di “gas rinnovabile” rischiano di entrare combustibili che non sono affatto “verdi” (vedi qui per approfondire).
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