Isolamento. Una vernice “rinfrescante” ai polimeri e con micro bolle d’aria
Quando pensiamo alle conseguenze del cambiamento climatico, vengono in mente lo scioglimento dei ghiacci polari, l’innalzamento dei mari, le alluvioni o magari le siccità prolungate.
In realtà uno dei suoi più preoccupanti effetti potrebbe essere quello di rendere letteralmente invivibili alcune parti del mondo, e in particolare quelle dove già oggi si registra una malsana combinazione di alte temperature e alta umidità, tipo il sud-est asiatico, l’Amazzonia o il Golfo Persico.
In quelle aree, come spiega una ricerca di fine 2017, se solo le temperature medie estive salissero di un solo grado, in alcuni giorni la combinazione calore-umidità diventerebbe così micidiale che gli esseri umani morirebbe in massa per colpi di calore, perché il loro corpo non riuscirebbe più a raffreddarsi con l’evaporazione del sudore.
A peggiorare le cose, le stesse aree sono abitate da popolazioni mediamente molto povere, e che quindi non possono difendersi da questa mortale svolta climatica, per esempio, installando sistemi di condizionamento.
E anche se potessero farlo, i consumi di quei sistemi sarebbero enormi, richiedendo il potenziamento della rete e della produzione durante i picchi di consumi dei mesi estivi.
Ci vorrebbe una soluzione magica, qualcosa che raffreddi le case senza consumare energia.
Sembra impossibile, ma una soluzione del genere è stata ora annunciata dall’ingegnere chimico Yuan Yang, della Columbia University a New York.
La “magia” di Yang consiste in una vernice che, spalmata sulle pareti esposte al sole, le tiene più fredde di quelle verniciate in modi convenzionali.
A rendere la sua soluzione ancora più interessante è che si tratta anche di un prodotto economico, senza strani o esotici elementi, composti o additivi aggiunti.
Per far sì che una superficie «combatta» il calore del sole e dell’aria, bisogna dotarla di due caratteristiche: un’eccellente capacità di riflettere le radiazioni solari (riflettività) e una eccellente capacità di trasformare il calore assorbito in radiazione infrarossa (radianza), così da riemetterlo nell’aria intorno.
I normali polimeri di largo uso, come il PET, hanno un’ottima radianza, ma sono trasparenti, quindi la luce li attraversa e va a scaldare la superficie sottostante.
Certo, si possono addizionare di particelle bianche o argentate, così che riflettano anche la luce. Ma i normali pigmenti bianchi hanno un grosso difetto: riflettono la luce visibile, ma assorbono ultravioletto e parte dell’infrarosso, riducendo la loro capacità raffreddante.
Molto meglio farebbe l’argento, che ha una altissima riflettività lungo tutto lo spettro solare, ma oltre ad essere sensibile a certi agenti chimici, che lo fanno scurire, il suo costo è troppo alto per usi di massa.
Yang, come spiegato su Science, ha però trovato una soluzione al tempo stesso semplice e ingegnosa: ha riempito una soluzione di un polimero trasparente sciolto in acqua e acetone, di nano e micro bolle d’aria.
La soluzione così ottenuta può essere spalmata come una normale vernice, ma, una volta asciugata, invece che essere trasparente come si ci aspetterebbe, è di un bianco accecante.
La ragione è che le micro e nano bolle d’aria, che hanno dimensioni paragonabili alle lunghezze d’onda lungo tutto lo spettro solare, dagli UV fino agli infrarossi, fanno “inciampare” le onde luminose, sparpagliandole qua e là: è il cosiddetto “scattering”, lo stesso fenomeno che rende bianco il latte, dove i minuscoli granuli di grasso, deviano in tutte le direzioni la luce.
Il risultato finale è che, esposta al sole, questa vernice “alle bolle d’aria”, riflette il 96% della luce che gli cade addosso (contro l’85% di una normale vernice bianca), e il poco che assorbe e che si trasforma in calore, oltre a quello che arriva per contatto dall’aria circostante, viene per il 97% del totale prontamente rimandato indietro sotto forma di infrarossi termici, grazie alle ottime proprietà di radianza del polimero scelto.
Tutto questo è molto bello in teoria, ma in pratica funziona?
«Abbiamo verniciato dei pannelli con la nostra vernice, e li abbiamo esposti al sole in due diverse situazioni climatiche, al caldo secco del deserto in Arizona e al caldo umido del Bangladesh», spiega Yang.
«Abbiamo constatato come in Arizona la temperatura del nostro pannello, misurata con una termocamera, fosse di 6 °C inferiore di quella delle superfici esposte al sole. In Bangladesh l’effetto era minore, per la maggior quantità di calore trasmesso dall’aria satura di vapore, ma ancora si otteneva una temperatura inferiore di 3 °C rispetto alle superfici non trattate».
Una differenza di tre gradi, in una situazione di estrema umidità, può fare, appunto, la differenza fra vita e morte per colpo di calore.
La vernice raffreddante, che può essere utilizzata come qualsiasi altra vernice commerciale per colorare muri, auto, persino veicoli spaziali, si è anche rivelata molto resistente all’invecchiamento: non avendo pigmenti, non c’è niente che possa degradarsi e ingiallire.
Il prossimo passo sarà adesso quello di interessare l’industria delle vernici verso questo tipo di “bianco raffreddante” rivoluzionario, fatto solo di solvente, polimero e bolle d’aria, e passare dalla preparazione in laboratorio di piccole quantità del materiale alla realizzazione di tecnologie e macchinari necessari alla scala industriale.
In genere questa fase è conosciuta come il “cimitero delle invenzioni”, per il numero di innovazioni, anche geniali, che non riescono a completare il percorso. Ma Yang è più che fiducioso.
«Siamo in un momento critico della Storia dell’umanità, in cui servono soluzioni per rendere sostenibile il nostro impatto sul pianeta. Quest’anno abbiamo visto ondate di calore colpire il Nord America, l’Asia, l’Europa e l’Australia: è essenziale, e urgente, trovare quindi soluzioni all’altezza della sfida climatica. Siamo entusiasti all’idea far parte di questa sfida e di lavorare su questa nuova tecnologia, che si configura proprio come una delle soluzioni possibili».
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