La batteria a flusso è ancora viva, ma è dura competere con il litio
C’è chi punta a sfruttare la forza di gravità impilando blocchi di calcestruzzo e poi calandoli con una gru, chi scommette sulle cisterne criogeniche ad aria liquida e chi invece pensa che la soluzione più interessante sia la batteria a flusso (flow battery): l’accumulo energetico di lunga durata sta assumendo tante facce diverse, con il comune obiettivo di rendere possibile un futuro con il 100% di fonti rinnovabili.
Ed è ancora presto per dire se e quali tecnologie riusciranno ad affermarsi sul mercato.
D’altronde, le batterie al litio sono sempre più affidabili e i costi continuano a scendere, grazie alle economie di scala. La loro produzione sta aumentando in tutto il mondo anche per rispondere alla crescente domanda di accumulatori da installare sulle auto elettriche.
Ma stoccare energia con una capacità sufficiente a coprire il fabbisogno elettrico per tante ore di fila è tutta un’altra storia. Il problema è come avere sempre a disposizione l’energia eolica e solare, anche quando il vento e il sole non stanno producendo nemmeno un kilowattora.
La batteria a flusso potrebbe servire allo scopo?
La giapponese SoftBank, la stessa che pochi mesi fa con il suo Vision Fund ha finanziato con 110 milioni di dollari la start-up Energy Vault e il suo progetto di accumulo per gravità, alla fine di ottobre ha partecipato insieme al fondo Breakthrough Energy di Bill Gates a una tornata di finanziamenti per complessivi 30 milioni di dollari destinati alla società americana ESS.
Quest’ultima ha sviluppato una batteria a flusso, iron flow battery, che impiega materiali “poveri” nell’elettrolita (acqua, sale, ferro), non tossici e facilmente riciclabili.
Secondo l’azienda, la batteria può caricarsi/scaricarsi pienamente fino a 20.000 cicli senza degradarsi; inoltre, la sua ricetta chimica permette di realizzare sistemi di storage con taglie differenti in base alle esigenze del cliente finale (utility di rete, utenza industriale, applicazioni off-grid).
ESS ha progettato una piattaforma modulare e facilmente espandibile (in pratica, si basa su grandi container), in modo da assicurare una durata superiore a quella delle comuni batterie al litio, che di solito si fermano a poche ore, mentre la società Usa parla di un accumulo fino a 10 ore.
Grazie ai nuovi finanziamenti, ESS punta a incrementare la capacità produttiva dei suoi stabilimenti per conquistare una fetta di mercato un po’ più grande della nicchia in cui finora sono rimaste confinate le batterie a flusso, battute dalla concorrenza del litio.
La flow battery, spiegano gli analisti di GTM Research in un breve approfondimento sul tema, è vista come una soluzione ideale per l’accumulo di lunga durata in applicazioni di grandi dimensioni, ad esempio in abbinamento ai super-parchi eolici e fotovoltaici.
Con la batteria a flusso è anche possibile fornire diversi servizi di bilanciamento e flessibilità alla rete: regolazione di frequenza, copertura dei picchi di domanda, “spostamento” dei consumi elettrici (time-shifting) secondo le dinamiche del mercato energetico, backup di emergenza.
Tuttavia, sembra che finora il mercato non abbia ancora richiesto la disponibilità su vasta scala di queste batterie. Come mai?
Il punto, osserva GTM, è che in questa fase di sviluppo delle rinnovabili, non si è ancora manifestato il bisogno di un accumulo particolarmente lungo.
Le rinnovabili sono ancora lontane dall’aver raggiunto il 100% di penetrazione nel mix elettrico e quindi, in definitiva, si può gestire la rete con le batterie al litio, il pompaggio idroelettrico, la micro-generazione distribuita e così via.
Ma con ogni probabilità arriverà il momento in cui ci sarà davvero bisogno di un energy storage di durata maggiore: parecchie ore, interi giorni o settimane.
Allora si vedrà quali tecnologie saranno diventate mature e competitive. Intanto investire nelle soluzioni innovative di accumulo energetico rimane rischioso.
Non a caso, tra i finanziatori di ESS c’è il fondo di Bill Gates dedicato a supportare le aziende che cercano di portare sul mercato tecnologie “di frontiera” che potrebbero esplodere tra qualche anno.
Insomma l’orizzonte d’investimento è di medio-lungo termine e di certo non si mira a un ritorno economico immediato. Ricordiamo per esempio le difficoltà incontrate da un’altra start-up che sta lavorando alla batteria a flusso, l’americana ViZn che nel 2018 è quasi andata in bancarotta ma poi è riemersa alleandosi con il consorzio industriale cinese WeView Energy.
ViZn ha sviluppato una ricetta chimica al ferro-zinco che promette una totale affidabilità per migliaia di cicli di carica/scarica senza decadimento delle prestazioni, con una vita utile di 20 anni e la possibilità di fornire sia servizi “in potenza” con scariche rapide sia servizi “in energia” con una scarica più lenta e prolungata.
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