La classifica della ricerca nell’energia pulita: l’Italia fa troppo poco
Senza investire di più in innovazione sull’energia pulita, sarà praticamente impossibile raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni necessarie per la sfida del clima. E quasi nessun paese sta facendo quanto servirebbe da questo punto di vista.
Ad esempio, nonostante aderiscano all’Accordo di Parigi e si impegnino a raddoppiare gli investimenti pubblici in R&S nel settore dell’energia pulita entro cinque anni, nell’ambito dell’iniziativa Mission Innovation, nove paesi (Corea del Sud, Francia, Italia, Paesi Bassi, Australia, Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia) oltre all’UE investono oggi meno in termini assoluti rispetto al 2015.
È quanto emerge dal nuovo rapporto “Global Energy Innovation Index” dell’Information technology & innovation foundation (allegato in basso), che mostra anche come l’Italia è agli ultimi posti tra i paesi ricchi da questo punto di vista ed è messa male anche nella classifica generale, al 14esimo posto tra le 23 nazioni monitorate:
Norvegia e Finlandia sono gli unici Paesi a spendere in R&S sull’energia pulita quanto raccomandato dagli esperti. A indebolire in generale lo sforzo per le rinnovabili, sottolineano i ricercatori, i finanziamenti pubblici per tecnologie energetiche pulite ad alta intensità di capitale, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) e l’energia nucleare avanzata.
Nella classifica degli investimenti in innovazione energetica rispetto alla dimensione dell’economia nazionale segue al terzo posto c’è il Giappone.
Nonostante Trump e le sue politiche, gli Stati Uniti restano al quarto posto in rapporto al Pil e in valore assoluto investono più di qualsiasi altra nazione per sostenere l’innovazione low carbon: con 6,8 miliardi di dollari nel 2018 gli Usa hanno speso in ricerca più di Cina e Giappone messi insieme.
Australia e Paesi Bassi, assieme come detto all’Italia, sono ultimi tra le economie sviluppate.
- Il rapporto (pdf)
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