La crisi climatica acuisce gli incendi e gli incendi acuiscono la crisi climatica
Gli incendi hanno avvolto molte aree del mondo negli ultimi mesi: dalla Amazzonia alla Siberia, dalle Canarie alla California.
Ma quale è il rapporto fra la crisi del clima e gli incendi? E quali sono inoltre gli effetti di roghi estesi e prolungati sui cambiamenti climatici stessi? Cerchiamo di riassumere alcune evidenze scientifiche per capire meglio tali dinamiche.
Prendendo la California come esempio, la temperatura media nei giorni della stagione calda è aumentata di 2,5 °C nello stato americano dai primi anni ’70 , secondo un recente studio pubblicato da Earth’s Future.
“Il legame più chiaro tra gli incendi della California e il cambiamento climatico antropogenico finora è stato stabilito sulla base dell’aumento dell’aridità atmosferica, che accelera l’essiccamento della biomassa infiammabile e promuove gli incendi boschivi estivi”, afferma il rapporto.
Secondo Park Williams, autore principale dello studio e professore presso il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, il riscaldamento del pianeta causato da attività umane ha causato un aumento dell’evaporazione terrestre del 10% dalla fine del 1800. Tale effetto è destinato a raddoppiare entro il 2060, aggiunge Williams, con incendi ben più devastanti di quelli, pur estremi, finora provocati da una variazione di solo un decimo.
Temperature più calde significano infatti terreni più asciutti, un’atmosfera più arida, boschi e sottoboschi più secchi, cioè più facilmente infiammabili e con molto più “carburante” naturale a portata di vampa da bruciare.
Secondo il Dipartimento della Silvicoltura e della Protezione Antincendio della California, o Cal Fire, il cambiamento del clima è “un fattore chiave” per spiegare il prolungamento della stagione degli incendi nello stato americano.
“Le temperature primaverili ed estive più calde, il manto nevoso ridotto e il disgelo primaverile anticipato generano stagioni secche più lunghe e più intensamente calde che aumentano lo stress idrico sulla vegetazione e rendono le foreste più suscettibili a gravi incendi”, ha indicato Cal Fire nelle sue previsioni sulla stagione degli incendi 2019.
Un altro fattore di cambiamento climatico che potrebbe avere contribuito ad alimentare i mega-incendi di questi anni in California è quello legato al vento.
Sebbene i ricercatori non abbiano riscontrato una chiara connessione fra un aumento della intensità dei venti e gli incendi, secondo Daniel Swain, uno scienziato del clima della University of California a Los Angeles (UCLA), “ci sono prove che le tendenze climatiche stanno aumentando la probabilità che forti venti coincidano con condizioni di vegetazione pericolosamente secca, con un aumento del rischio di incendi.”
Il rischio da mozziconi, scintille da automobili e linee elettriche è cresciuto di anno in anno, con l’aumento della popolazione della California e la costruzione di più case nelle aree rurali. E PG&E, la più grande utility della zona, non è riuscita a tenere il passo nella pulizia delle zone attraversate dalle proprie linee elettriche e nell’ammodernamento delle linee.
“Il vento aumenta l’apporto di ossigeno, provocando incendi più rapidi,” ha detto la portavoce di Cal Fire, Mary Eldridge. “Rimuove anche l’umidità superficiale, aumentando l’essiccazione della sterpaglia.”
È così che quella che una volta in California chiamavano “la stagione degli incendi” sta diventando “l’anno degli incendi”.
“Si stima che la durata della stagione degli incendi sia aumentata di 75 giorni,” ha indicato Cal Fire.
Un altro anello nella reazione a catena provocata dalla crisi climatica è rappresentato dalle infestazioni di insetti e parassiti che mangiano la corteccia o indeboliscono gli alberi nelle zone boschive.
“Le infestazioni di scarabei di corteccia hanno ucciso il 7% dell’area forestale degli Stati Uniti occidentali dal 1979 al 2012, spinte dal riscaldamento invernale a causa dei cambiamenti climatici e dalla siccità,” si legge nel quarto National Climate Assessment del governo USA.
Gli scarafaggi trovano sostentamento nei nutrienti contenuti nella corteccia e attraggono sciami di altri insetti. Quando un numero sufficiente di insetti ha deposto le uova, si innesca una riproduzione di massa che priva gli alberi dei nutrienti necessari.
Difficile, insomma, mettere in dubbio i legami diretti e indiretti fra il surriscaldamento dell’atmosfera e incendi sempre più estesi, intensi e frequenti.
Secondo lo studio di Earth’s Future citato precedentemente, dagli inizi degli anni ’70, gli incendi in California sono aumentati di otto volte. L’area bruciata annuale è cresciuta di quasi il 500%.
Solo nel 2017 e 2018, gli incendi hanno provocato in California almeno 130 morti e sono costati allo stato 1,5 miliardi di dollari, più di ogni altro biennio, indica lo studio.
L’Organizzazione meteorologica mondiale, da parte sua, ha riferito l’anno scorso che la dimensione degli incendi sta crescendo: “La parte settentrionale del mondo si sta riscaldando più velocemente del pianeta nel suo insieme,” afferma un suo rapporto. “Quel calore sta asciugando le foreste e le rende più suscettibili agli incendi.”
Dalla mappa di Global Forest Watch Fires si può vedere le aree con i maggiori allarmi-incendio.
Fin qui, abbiamo visto l’influenza che il surriscaldamento del clima ha sugli incendi. Ma vediamo anche che impatto gli incendi stessi possano esercitare sulla crisi del clima.
Secondo un recente studio, nel periodo 2005-2014, il carbonio rilasciato nell’atmosfera dagli incendi ha aumentato la temperatura media annuale globale del suolo di circa 0,16 °C l’anno – cioè di complessivi 1,6 °C – rispetto a quanto sarebbe avvenuto in un ipotetico mondo senza incendi.
Lo stesso studio stima che le emissioni globali medie generate dagli incendi provocheranno una crescita della concentrazione media annuale della CO2 atmosferica di circa 15-22 parti per milione l’anno. Tale maggiore concentrazione di CO2 dovrebbe a sua volta far salire la temperatura media del suolo di un valore compreso fra 0,13 e 0,18 °C l’anno a livello mondiale, nel periodo 2081-2100, con un riscaldamento maggiore alle latitudini più settentrionali.
Tale andamento acuirà i fenomeni di evaporazione e secchezza menzionati prima, che a loro volta alimenteranno gli incendi, che a loro volta aumenteranno l’evaporazione, in una spirale che diventa sempre più urgente interrompere.
È uno scenario che riguarda anche la nostra parte del mondo.
Secondo un altro recente studio, gli incendi nell’Europa mediterranea, tenendo conto anche dell’effetto di “risonanza” fra clima e roghi, sono destinati ad aumentare: maggiore sarà il surriscaldamento, maggiore sarà l’aumento dell’area bruciata, che secondo le stime varierà da circa il 40% in più fino ad un possibile raddoppio nei prossimi 30 anni, a seconda che l’aumento medio della temperatura sia di 1,5, 2 o 3 gradi centigradi.
Lo studio conclude che si otterrebbero benefici significativi se il surriscaldamento fosse limitato ben al di sotto di 2 °C, come auspicato dall’Accordo di Parigi. Siamo comunque in presenza di un circolo sempre più vizioso fra climi estremi e incendi estremi che deve essere preso in considerazione quando si mettono in atto politiche di mitigazione.
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