La democrazia energetica e l’innovazione che parte dalle comunità locali
Dopo 25 anni di fallimentari negoziati sul clima, un fatto è evidente: pensare di ridurre drasticamente le emissioni con un consenso internazionale vincolante tra paesi che hanno interessi ed economie non comparabili è illusorio.
Ma è sbagliato pensare che non ci possano essere delle alternative.
Se stiamo parlando di “rivoluzionare” ad esempio il sistema energetico dobbiamo basta guardare alle rivoluzioni tecnologiche avvenute negli ultimi due secoli. Nessuna è nata da un accordo internazionale e molte sono cresciute rapidamente senza il sostegno della politica, che per poi per sua natura tende sempre a proteggere le strutture economiche esistenti. Le rivoluzioni invece si sviluppano in modo autonomo e partono da esperienze individuali o, al limite, locali, insomma dal basso.
Attendere che tutti siano d’accordo per cambiare un modello di offerta e consumo dell’energia (ora limitiamoci a questo aspetto, comunque rilevante) ha insito un concetto errato e confutato dalla realtà: arrivare prima degli altri è uno sforzo inutile, se gli altri non ti seguono; anzi crea un danno economico. Invece, è esattamente il contrario.
Oggi parliamo di fotovoltaico ed eolico come tecnologie chiave per la transizione energetica grazie al fatto che circa 15 anni fa, la Germania con l’idea di un incentivo dedicato, la cosiddetta feed in tariff, avviava il motore dell’innovazione, dello sviluppo, dell’industria e delle installazioni, con la conseguente diminuzione dei costi che oggi rendono sul mercato queste tecnologie pressoché paritarie con quelle convenzionali. La Germania è partita per prima, ne ha ricavato dei vantaggi industriali, e poi l’incentivo è stato applicato in decine di altri paesi.
Bisognerebbe scatenare una miriade di iniziative e innovazioni dal basso, renderle replicabili e flessibili all’uso a prescindere dai decisori politici. I risultati saranno sicuramente più efficaci dei complessi, a volte astrusi, e pianificati strumenti tecnocratici proposti dalla burocrazia del clima.
Se ci muoviamo dalla scala globale a quella locale, scopriamo che esistono modelli innovativi di democrazia energetica stanno già dando potere alle persone di fornire soluzioni reali all’emergenza climatica.
Con il 100% della sua energia elettrica proveniente da rinnovabili (e anche con un buon margine di riserva) la città tedesca di Wolfhagen è un buon esempio di come anche i piccoli comuni possono avere approcci innovativi riguardo la proprietà e la governance delle infrastrutture energetiche. In questa cittadina di 14mila abitanti nel centro del paese già nel 2005 era stata avviato un processo di transizione energetica, cioè sei anni prima dell’entrata in vigore della legge nazionale di incentivazione delle fonti rinnovabili (Energiewende).
L’amministrazione comunale aveva a quel tempo deciso di rendersi completamente autosufficiente con le rinnovabili. Un primo passo fu di non rinnovare l’accordo di licenza per la gestione delle rete della utility privata E.ON, affidandolo invece alla società pubblica Stadtwerke Wolfhagen. Nel 2008 si definì un piano che prevedeva che entro il 2015 tutta l’elettricità consumata a livello residenziale sarebbe stata da fonti rinnovabili locali. L’obiettivo era quindi di realizzare un parco solare e uno eolico (foto in alto).
Vista la carenza di risorse finanziarie, Wolfhagen pensò ad una forma innovativa di “partecipazione cooperativa” guidata dai cittadini-utenti che diventano così comproprietari e co-beneficiari degli impianti, ma anche co-decisori su cosa fare della rete e dei progetti sull’energia, grazie anche ad una partecipazione diretta nella Stadtwerke Wolfhagen.
Infatti, la cooperativa, che venne costituita nel 2012, con i suoi oltre 800 membri, oggi possiede il 25% della compagnia energetica comunale, con un fatturato di quasi 4 milioni di euro.
C’è un controllo e un potere decisionale dei cittadini sulla Stadtwerke, quindi anche sui prezzi dell’energia e sugli investimenti in nuovi e vecchi impianti, potendo contare su due dei nove seggi nel consiglio di amministrazione.
La cooperativa ha anche un fondo per il risparmio energetico alimentato dalle entrate provenienti dalla società energetica; è gestito da un Comitato consultivo per l’energia costituito da membri della cooperativa, dell’agenzia energetica locale, della Stadtwerk e del comune. Obiettivo del fondo è di sostenere strategie e iniziative per migliorare l’efficienza energetica dei suoi membri.
Ecco come i cittadini membri della cooperativa non solo scelgono come realizzare interventi di decarbonizzazione dell’economia locale, ma hanno anche una regolare fonte di finanziamento, per giunta controllata democraticamente.
Cosa può insegnarci questa esperienza di Wolfhagen, neppure così isolata in Europa?
Forse che questi modelli ibridi di proprietà (cittadini+amministrazione locale+imprese locali) hanno la potenzialità di attrarre capitale (oltre a quello sicuramente necessario che può essere fornito dallo Stato) e di orientare i progetti nell’ottica di interesse comune. E l’obiettivo non è più quello di fare profitto.
Un’altra cosa che ci insegna è che i comuni o le regioni non dovrebbero solo affidarsi alle decisioni dello Stato centrale, ma possono superare l’inerzia dei governi nazionali e sovranazionali offrendo alternative di democrazia energetica, in grado di innescare innovazione e processi imitativi.
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