L’Australia nella morsa degli incendi e il negazionismo climatico del suo governo
In Australia l’anno nuovo arriva sempre in anticipo rispetto a quasi tutti gli altri paesi del mondo, per via di un fuso orario che la pone dalle sette alle dieci ore avanti rispetto all’Italia, per esempio.
Ma in questi giorni è difficile non guardare all’Australia anche come ad un avamposto metereologico e ambientale, una terra in cui l’ora dei cambiamenti climatici sembra anticipare quanto è destinato a succedere in altri paesi, se non si adottano politiche coerenti contro la crisi climatica.
Temperature record attorno ai 45 °C, forti venti e una siccità che dura ormai da tre anni hanno contribuito ad alimentare enormi incendi, che hanno devastato il paesaggio e causato grandi distruzioni nel paese. Nell’immagine in alto la diffusione degli incendi alla vigilia del Natale (i simboli più scuri sono relativi a roghi attivi da oltre 12-24 ore).
Quella che le autorità hanno classificato come la peggiore stagione degli incendi della storia, sta suscitando sempre maggiori interrogativi e critiche sul fatto che il governo conservatore del primo ministro, Scott Morrison, non prenda sul serio la crisi del clima.
I morti causati dagli incendi sono al momento almeno 17, decine di migliaia di persone sono in fuga da scene apocalittiche: abbandonano le case al loro destino e cercano riparo sulle spiagge per sfuggire alle fiamme e a colonne di fumo che hanno oscurato intere città e distrutto più di quattro milioni di ettari di terreno.
Gli incendi in corso sono ben più di 100 e nuovi roghi scoppiano ogni giorno a causa del caldo, del vento e della siccità.
Nel Nuovo Galles del Sud, il governo ha intimato ai turisti di evacuare un’area di 14.000 kmq al confine settentrionale dello stato di Victoria. Le strade di accesso e uscita da varie città sono chiuse e le auto di migliaia di visitatori sono bloccate negli ingorghi nel tentativo di lasciare le zone colpite.
Molti residenti costretti a sfollare faticano invece a trovare carburante e lunghe code si sono formate fuori dai supermercati e dai negozi delle regioni interessate dai roghi.
In tutto ciò, il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 ha recentemente assegnato all’Australia il rating più basso in assoluto nella valutazione della politica climatica di decine di paesi.
L’Australia ha fatto appena meglio, piazzandosi al 56° posto nella classifica generale dell’indice CCPI di quest’anno. Il Paese continua infatti a ricevere valutazioni molto basse per quanto riguarda l’uso dell’energia, risultando il fanalino di coda sia nella categoria delle emissioni di gas serra che in quella delle energie rinnovabili.
A rendere ancora più precaria la situazione è intervenuto quest’anno anche un cambio di governo, per stabilizzare il quale il nuovo primo ministro, Scott Morrison, ha deciso di cancellare la cosiddetta garanzia Energetica Nazionale (NEG), cioè un programma energetico che già era stato criticato da molti come ampiamente insufficiente per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi.
Purtroppo, con l’abbandono della NEG, l’Australia non ha più neanche la parvenza di una politica coerente o integrata per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni.
Il governo di coalizione a guida liberale del paese vorrebbe ora soddisfare più della metà dell’obiettivo di ridurre le emissioni del 26-28% entro il 2030 non tagliando effettivamente la CO2, ma usando crediti climatici derivanti da una performance migliore del previsto nel centrare gli obiettivi precedenti, quando in Australia esisteva un sistema per prezzare il carbonio, abolito cinque anni fa.
La politica australiana sul clima è adesso incentrata su un fondo da 2,55 miliardi di dollari per la riduzione delle emissioni, da impiegare tramite aste al contrario che pagano i proprietari terrieri e le imprese per ridurre l’inquinamento.
Ma nell’asta più recente, appena tre progetti hanno avuto i requisiti per accedere ai benefici e lo Stato ha remunerato tagli alle emissioni equivalenti a solo lo 0,01% dell’inquinamento annuale da gas serra in Australia.
Il Primo Ministro (nella foto a destra) è invece molto più concentrato sulle questioni contingenti di contrasto ai roghi, che sulla prevenzione e la contestualizzazione degli incendi nell’ambito delle loro cause di fondo.
Nel suo discorso di Capodanno alla nazione, Morrison non ha fatto alcun collegamento tra incendi e surriscaldamento globale, dicendo solo che si tratta di un calvario per l’Australia, ma che gli australiani hanno già affrontato e superato prove simili nel corso della loro storia.
“Non possiamo controllare i disastri naturali, ma quello che possiamo fare è controllare la nostra risposta,” ha detto il premier alla Australian Broadcasting Corporation (ABC). Anche le generazioni passate hanno “affrontato disastri naturali, inondazioni, incendi, conflitti globali, malattie e siccità” e li hanno superati, ha detto il primo ministro in un messaggio video. “Questo è lo spirito degli australiani, questo è lo spirito che bisogna avere, questo è lo spirito che celebriamo come australiani”.
Morrison ha aggiunto che può capire la frustrazione della gente, ma ha esortato la popolazione a rimanere calma.
“So che si possono avere bambini in macchina e che c’è ansia e stress e che il traffico non si muove velocemente, ma la cosa migliore da fare – la cosa migliore per agevolare i soccorsi in queste situazioni – è che tutti abbiano pazienza,” ha detto il premier.
Da parte loro, esperti di incendi e scienziati hanno definito la portata e l’impatto degli incendi di quest’anno come senza precedenti e hanno affermato che le emissioni di gas serra, pur non provocando direttamente gli incendi, giocano un ruolo ben documentato e innegabile nell’innalzare le temperature e nel creare condizioni climatiche e ambientali eccezionalmente secche, che aumentano i rischi di roghi e che rendono estremi e catastrofici gli incendi quando si verificano.
Inevitabile, quindi, che le critiche rispetto alla posizione climatica del governo Morrison si siano intensificate e fatte sempre più roventi, di pari passo con l’infuriare degli incendi. Molti residenti delle zone colpite sono imbufaliti col premier e il suo governo.
L’Australia è il più grande esportatore mondiale di carbone e gas naturale liquefatto, e il primo ministro, che ha vinto a sorpresa le elezioni a maggio, il mese scorso ha respinto le richieste di ridimensionare la redditizia industria australiana del carbone.
Secondo Morrison e il suo governo, infatti, non ci sono prove che colleghino in maniera diretta le emissioni di carbonio dell’Australia agli incendi boschivi e che nuovi investimenti nel carbone possono essere compatibili con le politiche energetiche e climatiche del paese.
In quella che appare una posizione abbastanza schizofrenica, il governo negazionista Morrison si è comunque impegnato a ridurre le emissioni di gas serra del 26-28% nei prossimi 10 anni, una quota di poco superiore alla metà rispetto al taglio del 45% proposto dal partito laburista all’opposizione.
Il leader laburista, Anthony Albanese, da parte sua, ha detto che l’Australia pagherà il prezzo di questa crisi per anni a venire.
“È vero che ci siano già stati incendi in Australia, ma quelli a cui stiamo assistendo sono di un’intensità maggiore, la stagione è più lunga, e, purtroppo, questa potrebbe essere la nuova normalità, e il costo economico di questa crisi, questa emergenza nazionale, è enorme”, ha detto Albanese alla ABC.
Sul fronte dei cambiamenti climatici, Morrison ha insistito sul fatto che l’Australia stia reagendo “meglio della maggior parte dei Paesi”.
Ma secondo il leader dell’opposizione, l’atteggiamento del governo australiano è profondamente contraddittorio. Da una parte, il governo sostiene che l’Australia genera “solo l’1,3% delle emissioni (globali, ndr) e, quindi, non abbiamo una responsabilità di agire e che ciò non farà veramente la differenza. Ma la verità è che, se tutti dicono così, ovviamente, nessuno agirà”, ha detto il leader dell’opposizione”.
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