Le elezioni europee e la crisi socio-ambientale dimenticata in Italia
Dobbiamo guardarci con occhio critico allo specchio, evitando di mascherare lo sconcerto con un risolino di facciata.
In un’elezione europea che ha cambiato gli equilibri politici più di quanto esprimano i dati quantitativi, una delle due più importanti novità è la crescita dei consensi alle liste verdi.
Questo, non soltanto nei paesi di lingua tedesca e scandinavi, dove la cultura ambientalista rappresenta la versione moderna di un rapporto uomo/natura elaborato dal romanticismo ottocentesco, che riconosceva alla natura la stessa struttura spirituale dell’uomo. La dimensione del loro successo in Francia e in Gran Bretagna è di per sé eloquente.
In Italia alla lista verde sono invece toccate poche briciole, anche se, salvo le posizioni espresse da alcuni candidati, nella campagna elettorale dei partiti che hanno raccolto significativi consensi il tema ambientale sia stato il grande assente. C’era dunque un vuoto, che nessuno ha riempito.
Eppure, per un decennio, a partire dalle elezioni del 1987, il partito dei Verdi, anche se in seguito non ha mai dimostrato un’effettiva capacità di aumentare i consensi inizialmente acquisiti, ha pesato nella politica italiana, dopo di che è entrato in crisi. Sul declino ha indubbiamente influito l’emarginazione dei leader storici del movimento, ma la stessa facilità con cui è potuta avvenire rivela quanto fragile fosse il suo tessuto connettivo.
I Verdi sono infatti entrati in Parlamento sull’onda del successo della campagna antinucleare, ratificato subito dopo le elezioni dall’esito dei referendum. Questa vittoria richiedeva però un salto di qualità nel loro agire politico.
Per contrastare il cambiamento climatico, occorrono trasformazioni radicali, che non investono soltanto nel suo insieme il sistema economico-sociale, ma mettono in discussione anche stili di vita, quindi abitudini e culture consolidate. Per continuare a essere credibili, vanno pertanto avanzate proposte in grado di conciliare il futuro benessere della collettività, garantito solo da un’efficace politica climatica, con i bisogni e con gli interessi economici di breve periodo.
È questa la scelta che regge la crescita del consenso ai Verdi in Germania, dove, pur essendo presenti da decenni sulla scena politica e avendo ricoperto incarichi di governo a livello federale e regionale, non subiscono la stessa sorte dei democristiani e dei socialdemocratici (viceversa, in Francia o in Gran Bretagna una parte dei voti è indubbiamente dovuta al fattore novità).
Guardandoci con occhio critico allo specchio, dobbiamo quindi chiederci perché anche noi, individualmente e come associati a strutture e movimenti che si battono per una efficace politica di contrasto al cambiamento, non siamo stati capaci di evitare ciò che papa Francesco ha denunciato nella sua Enciclica: «non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso [che va ridefinito]. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro, non solo ambientale, perché «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale».
Se non lo facciamo con la dovuta tempestività, i risultati delle elezioni europee potrebbero tradursi, forse anche a breve, in un voto nazionale favorevole a una maggioranza politica incline a tagliare l’erogazione d’acqua all’orticello che stiamo coltivando.
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