Le responsabilità morali, legali ed economiche delle compagnie fossili
Oltre un terzo delle emissioni mondiali di gas serra degli ultimi 50 anni è stato prodotto dalle 20 più grandi compagnie dell’industria petrolifera, del gas naturale e del carbone.
Torniamo sul recente documento pubblicato dal Climate Accountability Institute (CAI) che aggiornava questi dati e che QualEnergia.it aveva segnalato alla sua uscita perché è fondamentale evidenziare ancora le principali responsabilità della crisi climatica in atto.
L’istituto di ricerca statunitense, focalizzato sullo studio del cambiamento climatico di origine antropica, ha stilato una classifica di industrie pubbliche e private, che basano la propria attività sullo sfruttamento di combustibili fossili.
Come ha spiegato Richard Heede, direttore dell’Istituto di ricerca e firmatario del documento, lo studio ha quantificato le emissioni da combustibili fossili relative al periodo che va dal 1965 al 2017, prodotte su scala globale dalle compagnie dell’industria petrolifera, del gas naturale e del carbone lungo tutta la catena dell’approvvigionamento.
È emerso che le venti aziende più inquinanti del pianeta sono da sole responsabili, complessivamente, della produzione di 480 miliardi di tonnellate di anidride carbonica e metano, pari al 35% delle emissioni globali di gas serra dal 1965.
Gli esperti del CAI hanno scelto il 1965 come punto di partenza per la raccolta dei dati perché recenti ricerche dimostrano che dalla metà degli anni ’60 l’impatto ambientale dei combustibili fossili è ben noto ai leader del settore e ai politici, in particolare negli Stati Uniti.
Sicuramente petrolio, carbone e gas hanno contribuito al benessere molti paesi, ma da decenni, nonostante questa consapevolezza di crisi climatica, stanno ritardando e ostacolando ogni cambiamento.
La scelta di prendere in considerazione le industrie, anziché i consumatori dei loro prodotti, quali singoli individui e società che rappresentano i produttori finali di anidride carbonica, nasce dal fatto che, a parere degli esperti del CAI, tali industrie estraggono i combustibili fossili e li commercializzano a miliardi di utenti con la consapevolezza che il loro uso aggraverà la crisi climatica.
Le industrie più inquinanti
In cima alla lista delle compagnie più inquinanti, la compagnia saudita di idrocarburi Saudi Aramco, che dal 1965 ha prodotto 59,26 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente. Al secondo posto si colloca l’azienda petrolifera statunitense Chevron, con emissioni climalteranti per 43,35 miliardi di tonnellate. Terza la russa Gazprom, con una produzione di 43,23 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente.
Queste prime tre compagnie sono responsabili, complessivamente, di oltre il 10% delle emissioni di gas serra nel mondo, nell’intero periodo preso in esame dagli esperti.
Nella lista del Climate Accountability Institute figurano aziende eterogeneamente sparse sul nostro pianeta. In quarta posizione troviamo la compagnia petrolifera statunitense Exxonmobil, seguita dalla National Iranian Oil Company, una compagnia petrolifera in mano al governo iraniano e sottoposta alla supervisione dell’apposito Ministero del Petrolio. Tra le 20 compagnie più inquinanti, anche la PetroChina, la messicana Pemex, l’australiana BHP Billiton e la francese Total SA.
Saudi Aramco e Nationale Iranian Oil Company in particolare hanno le loro emissioni in fortissima crescita dalla metà degli anni ’80.
Sempre in questo ambito ricordiamo anche un altro lavoro curato da Carbon Tracker che segnalava come le grandi società petrolifere dovrebbero tagliare in media del 35% la produzione di risorse fossili al 2040, per rimanere in linea con gli obiettivi climatici.
Riportiamo la lista completa di CAI delle 20 compagnie dell’industria petrolifera, del gas naturale e del carbone più inquinanti del mondo.
Il fallimento della politica
Questi colossi dell’industria del fossile “hanno enormi responsabilità morali, legali ed economiche sulla grave crisi climatica e di conseguenza hanno il dovere di aiutare a risolverla”, come si legge nel rapporto del Climate Accountability Institute.
“La crisi climatica sta peggiorando, le emissioni globali sono in crescita e bisogna necessariamente ridurle del 45% entro il 2030 e totalmente entro il 2050”, scrive ancora il direttore del CAI, che sottolinea la necessità di rispettare gli obiettivi di contenimento delle emissioni di gas climalteranti stabiliti dall’accordo di Parigi, di sostenere la decarbonizzazione dell’economia globale e di spostare gli investimenti delle industrie verso le fonti rinnovabili.
Dura anche la reazione di Michael Mann, tra i maggiori esperti mondiali di scienze climatiche. “La grande tragedia della crisi climatica – ha spiegato il climatologo statunitense – è che sette miliardi e mezzo di persone devono pagare il prezzo – in termini di degrado del pianeta – perché un paio di dozzine di soggetti inquinanti possano continuare a realizzare profitti da record. Lasciare che ciò accada è un grande fallimento morale del nostro sistema politico”.
Cosa rispondono le compagnie alle accuse e al monito degli esperti del CAI e della comunità scientifica in generale?
Solo otto delle venti aziende, intervistate dai giornalisti della testata Guardian, hanno espresso la propria posizione sull’argomento. La maggior parte di loro riconosce la propria responsabilità per la crisi climatica e dichiara di essere intenzionata a cambiare rotta e di voler ridurre le emissioni, nel rispetto degli obiettivi ambientali dell’accordo di Parigi. Queste aziende hanno sottolineato che sono impegnate ad investire in fonti energetiche rinnovabili o a basse emissioni di carbonio.
Altre invece – come si legge nell’articolo pubblicato sul Guardian – dichiarano di non essere direttamente responsabili di come il petrolio, il gas e il carbone, da loro estratti, vengono utilizzati dai consumatori.
Immediata la replica del direttore del CAI: “Queste aziende con i loro prodotti sono responsabili dell’emergenza climatica, hanno ritardato l’azione nazionale e globale per decenni e non possono più nascondersi dietro la cortina fumogena che i consumatori sono le parti responsabili”.
E continua affermando che “i dirigenti delle aziende dell’industria petrolifera, del carbone e del gas naturale fanno deragliare il progresso. Il loro vasto capitale, la loro competenza tecnica e l’obbligo morale dovrebbero invece consentire, piuttosto che ostacolare, il passaggio a un futuro a basse emissioni di carbonio”.
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