Lezioni sull’autoconsumo (parte 3): le comunità energetiche

Laboratorio Metrologico Ternano

Lezioni sull’autoconsumo (parte 3): le comunità energetiche

19 Agosto 2019 Articoli 0

Parte 1

Parte 2

Nell’ultima parte del contributo saranno analizzate possibili modalità di applicazione delle nuove definizioni di comunità energetica per arrivare a delle conclusioni/indicazioni per l’evoluzione del sistema nel suo complesso.

Sono presentati, altresì, degli approfondimenti di carattere ricognitivo in materia di comunità energetiche e sistemi di distribuzione chiusi.

Aspetti applicativi e indicazioni evolutive

Atteso che se sul lato autoconsumo e sul lato Sdc il sistema già dispone di un insieme di norme che, sebbene da adattare al nuovo contesto, riuscirebbero a sostenere lo sviluppo dei sistemi energetici di utenza in maniera adeguata già sin da subito, per quanto riguarda le comunità energetiche rimane da capire quale possa essere un percorso evolutivo che, pragmaticamente, traguardi gli obiettivi finali consentendo comunque un’applicazione nel breve termine in maniera compatibile con l’attuale architettura di mercato.

La situazione non è tanto dissimile da quella verificatasi nel 2008 quando l’Arera dovette integrare nell’architettura di mercato il servizio di scambio sul posto che, nella modalità “net metering”, con il venir meno del ruolo delle imprese distributrici nel mercato vincolato, non riusciva più ad essere gestito.

Si dovette quindi “ridistribuire” correttamente le poste di energia in gioco nell’ambito delle immissioni e dei prelievi intercettati dalle dinamiche dei punti di dispacciamento, valorizzando nell’ambito del mercato tali energie e associando al bilancio energetico al nodo dell’utente che aderiva allo scambio sul posto un contributo tariffario (assimilando all’autoconsumo l’energia scambiata, cioè il minor valore tra immissioni e prelievi in un determinato lasso di tempo).

Almeno a livello iniziale, quindi, la realizzazione di una comunità energetica non può prescindere dalla necessità d’integrazione con l’architettura del mercato esistente andando a integrarsi con essa. In pratica la comunità energetica potrebbe essere ricondotta all’accoppiamento di due punti di dispacciamento (uno in immissione e uno in prelievo) aggreganti i punti di connessione alla rete con obbligo di connessione di terzi nella titolarità dei soggetti dei partecipanti alla comunità interponendo una fase di contrattazione commerciale tra i medesimi soggetti che costituisce il cuore degli scambi di energia all’interno della comunità energetica.

In maniera ancora più semplificata, per la comunità energetica rappresentata da un condominio, l’insieme dei punti di connessione degli utenti partecipanti alla comunità potrebbe essere trattato in forma aggregata come se fosse un unico utente che regola rispetto all’esterno solo in relazione allo scambio netto (orario) di energia con la rete – modalità che presuppone la centralizzazione delle misure in riferimento ad un medesimo nodo elettrico – in questo caso le regole di ripartizione interna potranno essere lasciate tanto alla libera contrattazione, quanto seguire un modello prestabilito per via normativa senza dimenticare che, nel caso di energia proveniente da impianti ricomprendibili nei servizi comuni il codice civile in materia condominiale definisce già modalità e ruoli dei diversi soggetti interessati (tra cui l’amministratore di condominio).

Si comprende già come (fatte salve le iniziative di autoconsumo “in sito” e i sistemi di distribuzione chiusi che, almeno in linea di principio, si basano sulla presenza di una rete elettrica e tecnologica di tipo fisico) al fine di un celere avvio dei nuovi modelli di comunità energetica, sia opportuno ricorrere ad aggregazioni di tipo commerciale avvalendosi delle strutture di rete esistenti (come sarà più avanti richiamato).

Sulla base di ricerche e studi si moltiplicano ipotesi di modelli per l’attuazione delle diverse realtà che sottendono forme di autoconsumo; tuttavia al fine di consentire un’evoluzione efficiente del sistema è opportuno che la questione sia ricondotta ad un approccio razionale, basato sull’effettiva esperienza, che tenda ad evitare duplicazioni ed inefficienze di sistema già in parte sperimentate nel passato quali, a titolo esemplificativo (non esaustivo):

  • evitare doppie misurazioni e far sì che il sistema di settlement sia basato, salvo rari casi, unicamente su misure fisiche e non virtuali;
  • evitare duplicazioni infrastrutturali sostenibili in prevalenza dalla non imposizione di oneri: in linea generale, il ruolo di servizio di pubblica utilità della rete elettrica regolata è ancora alla base dello sviluppo del mercato interno. La costruzione di nuove reti private deve essere effettivamente guidata dai criteri di efficienza e di legame funzionale nella gestione del servizio a rete e deve essere coordinata con lo sviluppo delle reti “regolate” che costituiscono lo strumento essenziale per l’esercizio del diritto di libero accesso al sistema;
  • come già richiamato, non dimenticare che il principio fondamentale dello sviluppo della concorrenza è il libero accesso al sistema che si traduce nella possibilità per un qualunque utente di accedere alla rete energetica secondo regole terze e imparziali (e a cui corrisponde in maniera duale l’obbligo per il gestore di rete “regolato” di connettere alle proprie reti ogni soggetto che ne fa richiesta);
  • evitare, nel caso di esercizio di sistemi privati, eccessivi oneri procedurali e burocratici;
  • consentire, comunque, la nascita di nuovi modelli di mercato che prevedano attività di scambio di energia tra i diversi consumatori/produttori.

Comunità energetiche

Il tema delle comunità energetiche non è un tema del tutto nuovo nell’ambito dei sistemi energetici. Se alla base del concetto di comunità dell’energia si pone la partecipazione attiva degli utenti allo sviluppo di iniziative per l’uso diretto di energia da fonti rinnovabili, alcuni elementi che caratterizzano alcune iniziative come comunità dell’energia sono riscontrabili già sin da prima della nazionalizzazione del settore dell’energia elettrica nell’ambito delle cosiddette cooperative elettriche.

Le cooperative elettriche attualmente sono intercettate dalla regolazione vigente solo in  relazione a quelle di carattere storico. Più in generale, la definizione di cooperativa è quella di una società costituita non a fini di lucro, ma per garantire ai soci una maggiore equità economica rispetto a quella del mercato.

Ai fini della regolazione la cooperativa (pdf – vedi link pag.25) è un soggetto giuridico organizzato in forma cooperativa, la cui finalità è quella di produrre energia elettrica prevalentemente destinata alla fornitura dei propri soci.

Più in particolare, la cooperativa storica è una cooperativa di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’articolo 4, numero 8 della legge 1643/62, già esistente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 79/99 (quindi già esistente alla data di avvio di liberalizzazione del sistema elettrico nazionale).

Nell’ambito delle cooperative si distinguono due fattispecie:

  • cooperativa storica concessionaria – una cooperativa storica che ha ottenuto la concessione per la distribuzione dell’energia elettrica;
  • cooperativa storica non concessionaria – una cooperativa storica che opera in un ambito territoriale per il quale la concessione per la distribuzione è in capo ad un’impresa terza.

Dal punto di vista dello sviluppo del concetto di comunità energetica, sulla base delle esperienze finora maturate in ambito europeo possono essere sintetizzate due modalità principali di organizzazione di una comunità energetica:

  • la prima che prevede l’uso dell’energia prodotta mediante iniziative collettive di produzione dove i soggetti partecipanti alla comunità partecipano all’investimento a sostegno delle iniziative di produzione della comunità e ne hanno in cambio il fatto che il loro consumo, o parte di esso, risulta commercialmente soddisfatto dalla produzione (rinnovabile) degli impianti della comunità;
  • la seconda dove è previsto un uso dell’energia prodotta da singoli mediante accordi di compravendita organizzati tra singoli o su piattaforme che consentono un trading di energia a livello locale.

In ogni caso, ma specialmente per la prima delle due forme sopra richiamate, all’approvvigionamento energetico possono essere anche associati ulteriori servizi connessi ad un uso consapevole e sostenibile dell’energia (per esempio, servizi di riqualificazione energetica degli edifici e degli impianti, servizi di modalità sostenibile) anche se il concetto moderno alla base delle comunità energetiche punta più al secondo modello.

Infatti, nella creazione di una comunità energetica, l’elemento caratterizzante, oltre ovviamente al rispetto della definizione e delle condizioni proprie di una comunità energetica (cioè il non fine di lucro, il beneficio sociale, ecc.), è proprio la modalità di commercio dell’energia che tende verso un modello di scambio peer-to-peer dove ciascun soggetto è libero di contrattualizzare uno scambio di energia con un suo pari e liberamente con più di un soggetto e viceversa.

Modalità di contrattazione che, nelle sue forme più evolute, mirerebbe a servirsi, come strumento principale, quello delle block-chain.

Un recente studio (The potential of energy citizens in the European Union) in ambito europeo ha valutato la traiettoria di sviluppo dell’energia rinnovabile potenzialmente “nelle mani” dei cittadini. Il rapporto stima il numero di “cittadini dell’energia” attualmente esistenti e che potrebbero esistere nel 2030 e nel 2050 nei singoli Stati membri e nella UE nel suo complesso, al verificarsi di determinate condizioni.

Esso dimostra che oltre 264 milioni di cittadini europei, circa la metà di tutti i cittadini dell’Unione europea, potrebbero produrre la propria energia nel 2050. Questi “cittadini dell’energia” potrebbero produrre 611 TWh di elettricità nel 2030 e 1.557 TWh entro il 2050.

Ciò significa che nel 2030 i cittadini europei potrebbero produrre il 19% della domanda di energia elettrica in Europa e il 45% nel 2050. Si tratta di un contributo significativo al raggiungimento dell’obiettivo della Ue in materia di energie rinnovabili per il 2030 e al passaggio ad un futuro 100% rinnovabile.

Il rapporto caratterizza anche il potenziale dei diversi tipi di “cittadini dell’energia”. Nel 2050, progetti collettivi come le cooperative potrebbero contribuire per il 37% dell’elettricità prodotta, mentre le micro e piccole imprese potrebbero contribuire per il 39%, le famiglie per il 23% e gli enti pubblici per l’1%. In ambito nazionale è da registrare come prima esperienza “istituzionale” la Legge regionale del Piemonte 3 agosto 2018, n. 12, sulla promozione dell’istituzione delle comunità energetiche.

Secondo tale norma, le comunità energetiche sono enti senza finalità di lucro, costituiti al fine di superare l’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati e di agevolare la produzione e lo scambio di energie generate principalmente da fonti rinnovabili, nonché forme di efficientamento e di riduzione dei consumi energetici. I soggetti intitolati a proporre la costituzione di comunità energetiche sono i comuni.

La comunità energetica si deve dotare:

  • di un piano strategico per la riduzione e dei consumi energetici da fonti non rinnovabili e l’efficientamento dei consumi energetici in coerenza, verificata dalla Giunta regionale, con il Piano regionale energetico-ambientale;
  • di un proprio modello di bilancio energetico.

Per l’attuazione della legge si prevede la costituzione di un tavolo tecnico permanente fra le comunità energetiche e la Regione per acquisire i dati sulla riduzione dei consumi energetici, sulla quota di autoconsumo e sulla quota di utilizzo di energie rinnovabili e per individuare le modalità per una gestione più efficiente delle reti energetiche anche attraverso la consultazione dell’Arera.

La costituzione della comunità energetica può essere accompagnata da un sostegno finanziario per la predisposizione dei progetti e della documentazione correlata alla costituzione delle comunità.

Aspetto particolarmente rilevante è rappresentato dal fatto che nel caso di risultati negativi riscontrati in sede di verifica e attuazione del documento (piano) strategico le comunità energetiche non possono accedere ai finanziamenti, anche di origine statale o comunitaria, erogati dalla regione in campo energetico ed ambientale, fino al raggiungimento, entro il termine massimo di due anni, degli obiettivi indicati nel piano strategico.

Vi è l’obbligo di notifica all’Unione Europea di particolari atti che prevedano l’attivazione di azioni configurabili come aiuto di Stato.

Sistemi di distribuzione chiusi

Altro discorso rispetto alle comunità energetiche è rappresentato dai sistemi di distribuzione chiusi che, per loro definizione, prevedono la realizzazione di vere e proprie reti di distribuzione su un territorio geograficamente limitato, rispondenti a precisi criteri di funzionalità e/o servizi comuni agli utenti del sistema e che, in linea di principio, non contengono clienti domestici.

Detti sistemi erano già previsti dalla Direttiva 2009/727Ce e quanto al loro sviluppo in ambito europeo sulla base delle informazioni reperibili dal rapporto Ceer – Memo on the transposition of unbundling requirements for Transmission, Distribution and Closed Distribution Systems Operators del 2014 (e successive versioni del medesimo rapporto), come integrate dalle informazioni acquisite dall’autore nell’ambito di uno studio sugli Sdc (pag. 35) di prossima pubblicazione, emerge che la definizione europea di Sdc è già stata recepita nei Paesi maggiormente rilevanti in termini di consumo e di sviluppo industriale.

Oltre ai Paesi che hanno recepito nel loro ordinamento nazionale la definizione di sistemi di distribuzione chiusi, in altri paese detto recepimento è tuttora in fase di discussione e, sebbene, le modalità di regolamentazione differiscano da Paese a Paese, il tratto comune dei vari recepimenti è quello comunque di fornire uno strumento per la competitività dell’industria e dei servizi.

In un caso, la legislazione nazionale vigente prevede che, in casi particolari di zone industriali, il gestore del Sdc possa concludere un contratto di fornitura di energia con un intermediario garantendo che l’energia elettrica sia fornita ai clienti finali a condizioni che non possono essere meno favorevoli di quelle di un’alimentazione diretta dalla rete.

In alcuni Paesi, la classificazione di una rete di distribuzione come “chiusa” dipende dal numero di clienti allacciati o, talvolta, dall’esistenza di una rete di distribuzione prima del recepimento. In alcuni paesi, il numero di clienti allacciati dipende dal fatto che essa esisteva prima del recepimento della definizione di Sdc.

Sdc che variano notevolmente da un Paese all’altro in quanto in alcuni casi non vi è un termine per la registrazione, l’acquisizione dei dati non è centralizzata o la definizione nella legislazione nazionale è molto ampia. Come già accennato, la definizione di Sdc dovrebbe essere mantenuta anche nella revisione della Direttiva 2009/72/Ce ponendosi in continuità con il passato.

fine della terza e ultima parte

L’articolo è tratto dalla rivista bimestrale QualEnergia n.3/2019 (L’utente è attivo)

Per approfondimenti sull’autoconsumo:

Affare autoconsumo: tutte le audizioni al Senato e la risoluzione finale

Articoli di Marco Pezzaglia pubblicati su QualEnergia.it:

Autoconsumo collettivo nei condomini, alcune ipotesi normative (22 maggio 2019)

Il futuro dell’autoconsumo in Italia: dove andiamo e cosa serve (27 marzo 2019)

Sistemi energetici di utenza e autoconsumo: una teoria unificata (21 marzo 2019)

Sistemi energetici di utenza tra passato, presente e futuro (1 marzo 2019)

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