L’Italia via dal carbone, ma con più energie rinnovabili e meno gas
L’Italia può rinunciare del tutto al carbone entro il 2025 senza investire in nuove infrastrutture a gas, puntando su energie rinnovabili, sistemi di accumulo e controllo della domanda.
Questa, in sintesi, la posizione dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) spiegata in un breve studio su come uscire dalla fonte fossile più inquinante “in modo sicuro, giusto e sostenibile”.
Si parla, infatti, di una transizione coal-to-clean, cioè dal carbone alle tecnologie pulite (qui il piano presentato a fine novembre dal WWF), in modo da sfruttare solo la capacità di generazione elettrica a gas esistente per non costruire altri impianti alimentati da questo combustibile. Una sorta di exit strategy dalle fossili.
Il punto, si legge nel documento, è che l’uscita dal carbone è stata decisa con la Strategia energetica nazionale (SEN) nel 2017, strategia che però (neretti nostri) “è stata elaborata su uno scenario di riduzione delle emissioni non in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e su uno scenario della Commissione europea di riduzione dei costi di tecnologie, come rinnovabili ed efficienza, che sottostima fortemente la significativa discesa dei prezzi degli ultimi anni”.
Di conseguenza, chiarisce lo studio, la SEN sovrastima il fabbisogno di gas nel mix elettrico (vedi anche le elaborazioni nel Libro Bianco di Confindustria), mentre le rinnovabili e gli accumuli, insieme con altre soluzioni, come la gestione intelligente della domanda e nuove interconnessioni elettriche, potrebbero sostituire interamente il carbone mantenendo in sicurezza la rete.
Lo scenario di phase-out completo dal carbone della SEN, ricorda l’Istituto Affari Internazionali, prevede investimenti aggiuntivi nel gas per 1,8 miliardi di euro circa, che comprendono la contestata metanizzazione della Sardegna.
Con il rischio, chiarisce lo studio IAI, di trasformare le nuove infrastrutture del gas in stranded asset, investimenti non più ammortizzabili perché sono diventati poco remunerativi, schiacciati dalla concorrenza delle rinnovabili e dal calo della domanda di gas (vedi anche tutte le polemiche sulla realizzazione del gasdotto TAP in Italia).
Tra l’altro, gasdotti e centrali fossili rischiano anche di “bloccare” nel mix energetico – si parla di effetto lock-in – una fetta consistente di future emissioni di CO2, perché tali infrastrutture, una volta costruite, creano una dipendenza del sistema elettrico dal loro utilizzo, con relative emissioni inquinanti.
Ricordiamo, infine, che dopo aver pubblicato la strategia 2050 che punta a un’economia a impatto climatico zero, la Commissione europea sta ripensando completamente il ruolo futuro del gas a livello Ue, vedi l’articolo Ancora più dubbi sui nuovi gasdotti con la Strategia Ue al 2050 con le dichiarazioni del commissario per l’energia e il clima, Miguel Arias Cañete.
Tornando all’uscita dal carbone, secondo l’Istituto Affari Internazionali l’Italia deve, in particolare:
- Ripensare l’approccio alle infrastrutture in relazione agli obiettivi di de-carbonizzazione al 2050, minimizzando così il rischio di stranded asset.
- Definire nuove regole per favorire gli investimenti in rinnovabili, tra cui meccanismi di capacità che escludano il carbone e minimizzino i sussidi al gas (vedi i negoziati in corso in Europa sul capacity market).
- Pianificare una nuova rete di protezione per gli occupati che rischiano di perdere il posto di lavoro in seguito alla chiusura dei vecchi impianti.
- Predisporre una fiscalità ecologica per disincentivare l’utilizzo di combustibili fossili, anche attraverso un prezzo minimo della CO2 per le quote di emissione sul mercato ETS e una carbon tax per i settori esclusi dall’ETS (vedi anche QualEnergia.it).
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