Lo stallo della geotermia italiana
Ogni fonte energetica ha i suoi limiti. Fra quelle rinnovabili le due in maggior espansione, solare ed eolico, sono afflitte da grandi variazioni stagionali e giornaliere che le rendono non programmabili.
Ah, ci fosse una rinnovabile costante, programmabile e con ancora ampi margini di espansione, a rendere più facile l’enorme transizione energetica che dobbiamo fare entro il 2030…
Ebbene questa fonte esiste, si chiama energia geotermica, e in tutte le sue forme, ad alta/media e bassa entalpia (in pratica, per la produzione elettrica, di acqua calda e per alimentare pompe di calore), è abbondante in Italia, e ci consentirebbe di produrre molta più elettricità pulita e programmabile, oltre a sostituire parte del metano usato per i riscaldamenti domestici e industriali, innescando anche un circolo virtuoso di rilancio delle industrie dedicate a questa fonte.
Eppure l’Italia snobba, quando non ostacola attivamente, questa fonte, che i nostri vicini del nord, se potessero, sposterebbero invece dentro i loro confini, per utilizzarla al nostro posto.
Queste sono le amare considerazioni che vengono in mente leggendo il nuovo market report (pdf, con grafici e dati) di EGEC, il Consiglio Europeo per l’Energia Geotermica, un gruppo attivo a Bruxelles per la promozione di questa fonte energetica.
I toni sono molto soddisfatti: in sei anni la potenza elettrica geotermica è raddoppiata in Europa (includendo in essa la Turchia), sfondando il muro dei 3 GW forniti da 127 centrali.
Ottimo anche il progresso nei sistemi di teleriscaldamento, che pescano acqua calda nel sottosuolo, per alimentare la climatizzazione di case e industrie, passati dal 2010 da 187 a più di 300; grande espansione anche per le pompe di calore geotermiche, arrivate ormai a oltre due milioni di impianti.
Per noi italiani, però, la festa finisce quando si passa a vedere i dati per nazione: la Turchia è ormai il primo paese per potenza geotermoelettrica, con 1,3 GW (di cui 0,3 aggiunti nel 2018) contro i nostri 0,9 (fermi dal 2016) , e già dietro ci tallona l’Islanda con 0,7 GW.
L’Islanda si rifà però con il teleriscaldamento, 2,1 GW termici installati, contro gli 0,8 turchi, gli 0,5 francesi, gli 0, 3 tedeschi e gli 0,2 olandesi e ungheresi. E l’Italia, che galleggia su acque calde? Bloccata a quota 0,15 GW.
Per non dire che il nostro paese milita in serie Z per le pompe di calore geotermiche: ce ne sono oltre 500mila in Svezia e Germania, più di 100mila in Finlandia, Olanda, Austria e Polonia, oltre 50mila in Francia. In Italia? Poche migliaia.
Ma perché gli italiani ignorano questa fonte, con cui la natura ci ha benedetto e che siamo stati i primi al mondo a individuare e sfruttare?
Lo abbiamo chiesto a Loredana Torsello, responsabile dei progetti complessi ed internazionali di CoSviG, il consorzio toscano per lo sviluppo geotermico.
«Ci sono ragioni obbiettive e altre meno razionali per lo stallo della geotermia in Italia. Fra le prime il fatto che richiede grossi investimenti immediati, per costruire pozzi, centrali o reti di teleriscaldamento, a fronte di un rientro lento. Se non ci sono capitali disponibili e in assenza di politiche statali di aiuto chiare e coerenti sul lungo periodo, il settore non decolla».
Anche il territorio italiano non aiuta.
«E facile costruire centrali geotermiche nel deserto vulcanico dell’Islanda, ma anche realizzare centrali di teleriscaldamento vicino a grandi metropoli, come Parigi, che assicurano molti allacci per unità di lunghezza della rete di tubi. Fare queste cose in Italia, in un territorio dal paesaggio delicato, fitto di paesi, ma con poche grandi città, è molto più difficile», dice Torsello.
E ci sono poi i fattori irrazionali.
«Il governo ha deciso, per ragioni non chiare, ma che molti mettono in relazione con la vicinanza fra partito di maggioranza e vari Comitati del No, di escludere la geotermia dal decreto Fer 1 sulle rinnovabili. Dovrebbe entrare nel Fer2, ma ancora siamo in alto mare e gli imprenditori, senza norme chiare e stabili, non investono».
E aggiungiamo come fattore di scoraggiamento, anche l’incredibile maratona di autorizzazioni e pareri, che lo stesso imprenditore deve intraprendere fra Ministeri, Sopraintendenze e Regioni prima (forse) di posare la prima pietra della sua iniziativa.
«Inoltre in Italia in questi ultimi anni si sono diffuse notizie sulla nocività della geotermia, che non tenevano conto degli sviluppi tecnologici e che comunque sono state smentite da vari studi epidemiologici, o sul suo non servire a contenere il cambiamento climatico, anch’essi smentite da studi più completi sulle emissioni naturali dei territori geotermici», continua Torsello.
Purtroppo, come si sa, le smentite “degli esperti” nell’era di social e fake new servono a poco: ormai dovunque si prospetti un impianto geotermico, nascono agguerriti Comitati del No, a prescindere da contesto, progetto, tecnologia, benefici per il territorio.
«Si oppongono anche a quelli a ciclo binario chiuso, con reimmissione totale dei fluidi, nonostante siano pensati apposta per azzerare le emissioni. C’è persino un Comitato contro un progetto di teleriscaldamento a Castelfiorentino, perché “inquinerebbe”, anche se si limita a estrarre calore dall’acqua sotterranea, per poi ripomparla nella falda», spiega Torsello.
Forse il punto è che la geotermia è troppo impattante sul paesaggio. …
«La fonte rinnovabile su cui l’Italia punta di più, il fotovoltaico, quando non messo sui tetti, richiede circa un ettaro di terreno per ogni MW, producendo, in modo intermittente, circa 1,3 GWh l’anno. Sulla stessa superficie si può costruire una centrale geotermica da 5 MW, che produrrà in modo continuo e programmabile circa 40 GWh l’anno».
Ma non sarà allora che la risorsa geotermica in Italia sia già ormai sfruttata al massimo?
«In realtà è usata solo in Toscana, e anche lì si potrebbe almeno raddoppiare la potenza elettrica, ma ce n’è tanta, inesplorata, anche in Veneto, Umbria, Lazio, Campania e Sicilia, soprattutto ora che le tecnologie binarie, come quelle largamente usate in Turchia, consentono di utilizzare risorse più superficiali e meno calde di quelle “storiche”».
Secondo la responsabile di CoSviG, questi impianti non produrrebbero solo elettricità, ma anche acqua calda di scarto, da “regalare” a imprese come caseifici, birrerie o serre, aiutandole a essere competitive, con notevole ricaduta sull’occupazione locale. «E se proprio non si vogliono le centrali elettriche, si potrebbe almeno usare l’acqua calda sotterranea per riscaldare le città, risparmiando enormi quantità di metano e di CO2. Invece non si fa quasi nulla neanche lì», chiarisce.
Quindi non si prevedono sviluppi futuri per la geotermia in Italia?
«Molto scarsi. Ci sono in dirittura di arrivo 3 o 4 centrali a ciclo binario chiuso da pochi MW, sempre fra Toscana e Umbria, e qualche progetto di teleriscaldamento. L’Enel però sta esplorando nuove risorse, sperimenta tecnologie ad alta efficienza e ha annunciato che pensa di costruire nuove centrali geotermiche senza bisogno di incentivi. Vedremo se ci riuscirà».
Questa “calma piatta” che effetto sta avendo sul mercato del lavoro connesso alla geotermia?
«Per fortuna le industrie specializzate italiane hanno imparato a fare a meno del mercato domestico, e vendono in Turchia, Sudamerica, Filippine. Ma certo per loro è molto più difficile lavorare e fare sperimentazione, rispetto ai competitor islandesi, che continuano a installare in casa, hanno intorno una popolazione orgogliosa di loro e uno Stato che li supporta. Per quanto riguarda i geologi e ingegneri specializzati in geotermia che la nostra Università continua a formare ai massimi livelli mondiali, pochi trovano impiego in patria, ormai, e anch’essi si sono rassegnati a dover lavorare all’estero», conclude Torsello.
Insomma con la geotermia il “tafazzismo” italiano sembra proprio aver raggiunto la sua apoteosi.
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