Mercato FV, l’Europa sta per rinunciare ai prezzi minimi d’importazione?
Cosa deciderà l’Europa sulla vendita di pannelli fotovoltaici made in China?
Stando alle indiscrezioni emerse in queste settimane – l’ultima “voce” non confermata da Bruxelles è stata riportata dall’agenzia Reuters – la Commissione Ue non dovrebbe confermare il meccanismo del MIP (Minimum Import Price), il prezzo minimo d’importazione applicato a celle e moduli solari in silicio cristallino provenienti dalla Cina.
In sostanza, quindi, il prezzo minimo dovrebbe scadere il 3 settembre, la data stabilita dopo l’ultima proroga di 18 mesi.
Bruxelles, secondo le fonti sentite da Reuters, avrebbe ricevuto l’appoggio della maggioranza degli Stati membri per agire in questa direzione.
Tra qualche giorno, salvo sorprese, il commercio di moduli solari FV cinesi in Europa tornerà a essere esente da misure protezioniste. Con quali conseguenze?
Il MIP, ricordiamo in sintesi, è stato concordato tra Europa e Cina nel 2013, al termine di faticosi negoziati commerciali, come provvedimento di compromesso e alternativo all’imposizione di dazi antidumping.
Le aziende cinesi, in pratica, hanno sempre avuto due scelte: entrare volontariamente nell’accordo del prezzo minimo, senza dover pagare altre tariffe doganali, oppure vendere i loro prodotti con l’aggiunta di dazi ad valorem fino al 64,9% (cui vanno sommati dazi anti-sussidi nell’ordine dell’11,5%).
In realtà, molte imprese asiatiche, che inizialmente avevano accettato il MIP, in seguito erano uscite dall’accordo, preferendo pagare le tariffe alla frontiera, perché il prezzo minimo dei pannelli era rimasto troppo alto e non più in grado di riflettere le dinamiche reali del mercato.
Era più conveniente, in definitiva, vendere i moduli facendo applicare i dazi, per non dire delle industrie che cercavano di sfuggire alla maglia protezionista europea, attraverso delle triangolazioni commerciali con altri paesi, come Taiwan e Malesia.
Ecco perché in Europa il MIP è stato al centro di continue polemiche tra favorevoli e contrari, rappresentati, rispettivamente, dalle associazioni EU ProSun e SolarPower Europe (SPE), con la prima a chiedere di rafforzare le misure doganali, in modo da proteggere l’industria continentale dall’invasione di pannelli cinesi sottocosto, mentre la seconda sposava la linea della libera concorrenza, che avrebbe portato molti più vantaggi, secondo SPE, come la crescita delle installazioni e l’aumento di posti di lavoro nella filiera “downstream” (quella dei servizi: progettazione, realizzazione e assistenza degli impianti).
Nel 2017 si era arrivati a un nuovo compromesso, quando Bruxelles aveva deciso di estendere i dazi per 18 mesi e poi di proseguire con un MIP più flessibile, una sorta di “meccanismo di adattamento” con prezzi minimi in progressiva diminuzione fino a luglio 2018 (vedi QualEnergia.it).
Con la probabile scadenza del MIP alle porte, l’industria mondiale del fotovoltaico avrà un altro elemento di cui tenere conto nelle sue strategie commerciali.
La Cina, in particolare, a causa della prossima frenata delle installazioni FV sul mercato interno (vedi QualEnergia.it), cercherà sbocchi in altre aree geografiche per “piazzare” la sua eccedenza di pannelli, ma qui entrano in gioco anche i dazi imposti da Trump negli Usa e quelli voluti dal governo indiano.
Così diversi analisti prevedono una nuova ondata di sovraccapacità globale di moduli con prezzi in discesa, almeno nel breve-medio termine, oltre a un’accresciuta competizione tra fornitori cinesi, taiwanesi e malesi sui diversi mercati.
Seguiremo gli sviluppi della situazione nelle prossime settimane, cercando anche di capire quali conseguenze ci saranno per l’Italia.
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