Nessun intesa europea sul clima al 2050, c’è il veto di alcuni paesi dell’est
Il Consiglio europeo non ha raggiunto un accordo su una strategia climatica di decarbonizzazione al 2050, cioè di zero emissioni di CO2 nette a metà secolo.
Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia ed Estonia si opposti proprio alla menzione di una data specifica, nonostante gli sforzi dell’ultimo minuto di Francia e Germania per convincerli, che tuttavia secondo molti osservatori non sono stati affatto decisi.
Si tratta, ricordiamolo, di paesi con una quota molto elevata di carbone nel loro mix energetico.
I leader dell’UE28 non sono riusciti a negoziare un accordo che avrebbe visto gli Stati membri tagliare significativamente le emissioni di gas serra entro il 2050. Estonia e tre dei quattro paesi di Visegrad (tranne la Slovacchia) hanno posto invece il loro veto.
Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha dichiarato che non poteva sostenere la data del 2050 a causa della carenza di una “analisi approfondita” dei costi. Ora la Polonia è alla ricerca di un compromesso, che rischia di essere al ribasso. Quello ceco metteva davanti la scusa della Cina che ancora lontana da ambiziosi obiettivi climatici.
Secondo fonti dal Consiglio d’Europa saranno determinanti ai fini di un piano climatico di decarbonizzazione gli incontri sul quadro finanziario pluriennale (multiannual financial framework – MFF), visto che diversi paesi, soprattutto la Polonia, vogliono assicurazioni sull’impatto economico di una simile strategia.
La prossima occasione per tornare alla questione sarà a fine ottobre, vertice che però immaginiamo sarà assorbito soprattutto dalla questione Brexit.
Nella versione finale delle conclusioni del Consiglio d’Europa di ieri si legge che l’Unione Europea “garantirà la transizione verso un’UE climaticamente neutrale in linea con l’accordo di Parigi”, ma è stata eliminata la data del 2050 che c’era nell’ultima stesura.
Significa che l’UE andrà a un vertice cruciale delle Nazioni Unite a settembre, così come il G20 della prossima settimana, senza una deadline che molti paesi, almeno a parole, chiedevano.
Il gruppo di pressione Climate Action Network Europe ha anche invitato i leader europei a convocare un summit di emergenza prima della riunione dell’Onu, ma non sarà facile convicere i paesi che ieri hanno posto il loro veto. In ogni modo le conclusioni del vertice di giovedì 20 giugno chiariranno che tutti gli Stati membri, tranne quattro, concordano sul target.
I risultati dell’incontro dicono che il Consiglio intende ancora concludere i negoziati entro la fine dell’anno e che ci sarà un accordo finale, al più tardi, “all’inizio del 2020”.
La Commissione europea e i delegati nazionali sono invitati a esaminare inoltre più da vicino l’impatto finanziario della strategia e, si afferma nelle conclusioni, che “il Consiglio europeo invita la Banca europea per gli investimenti a intensificare le sue attività a sostegno dell’azione per il clima”.
Insomma, l’Unione Europea prende ancora tempo, fa annunci di principio, non si muove in linea con l’accordo di Parigi, e non crea le condizioni per un rilancio degli investimenti nelle politiche energetiche del futuro. Mentre la crisi climatica si fa ogni mese più pressante, come hanno raccontato quelli di Greenpeace che hanno proiettato sui palazzi delle istituzioni europee a Bruxelles la “bomba climatica” che sta per esplodere.
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