Parte la CoP 25 a Madrid: cosa si discuterà e perché sarà difficile
Sarà la volta buona?
Da diversi anni è sempre la stessa domanda che si presenta quando comincia una nuova conferenza globale sul clima: da oggi, lunedì 2 dicembre, fino al 13 dicembre, è il turno della CoP 25 a Madrid (Conference of the Parties), la venticinquesima conferenza delle Nazioni Unite dove i governi di (quasi) tutto il mondo proveranno a trovare una linea comune per intervenire contro i cambiamenti climatici.
Non ci sarà il presidente americano, Donald Trump, che di recente ha confermato l’intenzione di uscire dall’accordo di Parigi avviando le procedure ufficiali per abbandonare l’intesa siglata nel 2015.
E la strada dei negoziati appare tutta in salita.
Tra i punti maggiormente critici da discutere a Madrid, c’è l’Articolo 6 dell’accordo di Parigi, che prevede di definire nuove regole internazionali per scambiare quote di carbonio con meccanismi di mercato, in modo da raggiungere una riduzione netta complessiva delle emissioni di CO2.
Si parla insomma di un mercato globale del carbonio che però, finora, è rimasto lettera morta.
Questo sarà un aspetto cruciale del negoziato alla CoP 25, “make or break”, perché da esso dipenderà in buona parte la capacità dell’accordo parigino di avviare una più rapida de-carbonizzazione delle economie in tutto il mondo. E bisognerà porre molta attenzione alle possibili scappatoie che potrebbero indebolire il meccanismo, come il doppio conteggio (double-counting) delle riduzioni di CO2, riconducendole agli impegni presi da più paesi differenti.
Anche perché le emissioni di CO2, anziché ridursi, stanno continuando a salire toccando concentrazioni-record nell’atmosfera, come evidenziano gli ultimi dati della WMO; intanto il nuovo rapporto diffuso dal programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep), proprio alla vigilia della CoP 25, ha rilanciato lo stesso avvertimento di novembre 2018, pochi giorni prima che iniziasse la CoP 24 in Polonia, sulla necessità di tagliare velocemente le emissioni inquinanti.
In sostanza, sostengono gli esperti dell’Unep, le emissioni di CO2 su scala mondiale dovrebbero diminuire del 7,6% l’anno tra 2020 e 2030 per puntare a un aumento delle temperature medie di +1,5 gradi in confronto all’età preindustriale.
Invece per contenere il surriscaldamento a 2 gradi entro fine secolo, le emissioni dovrebbero calare ogni anno del 2,7% e anche questo richiederebbe un notevole cambio di passo rispetto alle attuali politiche: si tratterebbe, infatti, di triplicare gli sforzi in confronto a quanto già stabilito dai contributi volontari dei singoli paesi per la lotta al cambiamento climatico.
Stando agli impegni presi finora in seguito all’accordo di Parigi, e anche ipotizzando che questi impegni siano realizzati al 100%, il Pianeta sta viaggiando verso un incremento delle temperature di 3,2 gradi.
Tra l’altro, le nazioni del G20 sono responsabili del 78% delle emissioni complessive di gas serra, ma la maggior parte di queste nazioni non ha ancora fissato alcun impegno per azzerare le emissioni nette di CO2 entro la metà del secolo e, anzi, continua a spendere cifre ingenti per supportare la produzione e l’utilizzo di combustibili fossili.
Allora a Madrid le discussioni riprenderanno dai campanelli d’allarme che nessuno finora ha ascoltato sul serio. Come ridurre le emissioni, come aiutare i paesi più poveri a farlo, quanto investire nell’economia “verde”, come tutelare la biodiversità e gli ecosistemi a rischio: questi sono alcuni dei temi più importanti che nessuna conferenza sul clima ha mai affrontato e risolto in modo convincente.
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