Perché il mondo rischia di andare verso l’apartheid climatico
Si rischia di andare verso un “apartheid climatico” dove “le persone benestanti pagano per sfuggire il surriscaldamento, la fame e le situazioni di conflitto, mentre il resto del mondo rimane a soffrire”: questa la recente costatazione (traduzione nostra dall’inglese, con neretti, qui la nota originale) di Philip Alston, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà e sui diritti umani.
L’ondata di calore che ha colpito l’Europa è una delle tante conseguenze dei cambiamenti climatici: gli eventi “estremi” come il caldo record e la siccità diventano sempre più intensi e frequenti in diverse regioni.
E questi eventi estremi, più in generale, stanno già tracciando uno scenario di crescenti diseguaglianze tra nord e sud del nostro Pianeta, perché saranno le nazioni delle fasce tropicali e subtropicali a essere maggiormente coinvolte dagli impatti del clima impazzito.
Tanto che alcuni studi prevedono un miglioramento delle condizioni di vita in territori in precedenza inospitali e freddi, come la Siberia…
Poi è difficile ignorare le parole di Philip Alston quando si pensa ai continui tentativi di sbarchi di migranti sulle coste italiane. La vicenda che coinvolge la nave dell’organizzazione umanitaria Sea Watch è solo l’ultimo esempio di quanto sia costante la pressione dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa.
Qui non si vuole sostenere alcuna relazione diretta tra un singolo episodio – quello che sta interessando la Sea Watch o qualunque altro episodio analogo – e il cambiamento climatico.
Le ragioni che spingono le persone a fuggire dai loro paesi d’origine sono infatti le più diverse: guerre, povertà, mancanza di cibo e così via.
Ma occorre certamente riflettere con più attenzione sulle possibili influenze del surriscaldamento globale sui conflitti etnici, sociali ed economici nei territori meno sviluppati.
Il punto, secondo alcune ricerche (vedi qui), è che il global warming può moltiplicare le minacce su vasta scala, minacce non solo ambientali, ma anche di natura geopolitica, che possono devastare gli equilibri di intere popolazioni e interi ecosistemi.
Pensiamo, ad esempio, alle siccità prolungate con aridità dei terreni, che a loro volta innescano violenze tribali per il controllo delle poche risorse disponibili (bestiame, cibo, pozzi) o migrazioni verso territori più miti e fertili.
Tanto che negli ultimi anni si parla sempre più spesso di “rifugiati ambientali” nei vari rapporti scientifici che analizzano i cambiamenti climatici e cercano di stimare la portata dei relativi rischi.
D’altronde, le stime indicano che già nel 2015 e 2016 decine di milioni di persone sono emigrate a livello globale per cause climatiche, come avevamo spiegato in questo articolo sul tema.
Ricordiamo poi che nel 2017 uno studio della Columbia University metteva in relazione il mutamento del clima con le migrazioni, affermando che un incremento elevato delle temperature medie terrestri entro la fine del secolo farebbe lievitare il numero di richieste d’asilo nei paesi europei.
Ecco allora qualche altra recentissima considerazione del relatore speciale delle Nazioni Unite, Philip Alston (traduzioni nostre dall’inglese, con neretti).
“Il cambiamento climatico minaccia di disfare i progressi compiuti negli ultimi 50 anni in tema di sviluppo [economico], salute e riduzione della povertà”, tanto che “potrebbe spingere nell’indigenza altri 120 milioni di persone al 2030 e avrà l’impatto più consistente sulle nazioni più arretrate e sui luoghi in cui vive e lavora la gente più povera”.
E perfino lo scenario con un surriscaldamento di +1,5 gradi nel 2100, aggiunge l’esperto delle Nazioni Unite, “vedrà temperature estreme in molte regioni e lascerà le popolazioni svantaggiate in preda all’insicurezza alimentare, alla perdita di entrate economiche, al peggioramento delle condizioni di salute”.
Così molti dovranno scegliere “tra morire di fame o emigrare”.
Insomma, non si parla solo di una potenziale minaccia all’intera civiltà umana, ma eventi con conseguenze devastanti per milioni (addirittura miliardi?) di persone.
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