Perché la Siberia che brucia è un allarme per il clima
Gli incendi che a centinaia stanno devastando la Siberia da diverse settimane, sono l’ennesima conseguenza di un cambiamento climatico che non risparmia più alcuna regione del nostro Pianeta.
Lo scorso giugno, su queste pagine, avevamo ceduto a un pizzico d’ironia con un titolo, Il Pianeta si scalda? Tranquilli, c’è la Siberia… riferito a uno studio russo-americano sugli impatti del surriscaldamento globale, in cui si affermava che le temperature più miti potrebbero favorire nuovi insediamenti umani e nuove colture agricole in territori che in passato erano troppo freddi.
Ora vaste zone della Siberia russa stanno letteralmente bruciando.
Tra giugno e luglio, informa una recente nota della NASA con alcune immagini satellitari, sono andati in fumo oltre 2,7 milioni di ettari di foreste in Siberia, con le nubi degli incendi che hanno poi raggiunto gli Stati Uniti e il Canada.
E incendi di simili proporzioni sono molto pericolosi per vari motivi: perché minacciano la salute delle persone (in realtà in questo caso stanno interessando aree perlopiù disabitate), distruggono interi ecosistemi, fanno scomparire quei bacini naturali di piante e alberi che trattengono l’anidride carbonica (i cosiddetti carbon sink), rilasciano nell’atmosfera quantità enormi di sostanze chimiche inquinanti che a loro volta contribuiscono a incrementare l’effetto serra.
Le temperature estive eccezionalmente calde, spiegano i meteorologi, hanno creato le condizioni perfette per il propagarsi dei fuochi, grazie anche all’aridità del suolo e alla presenza di venti secchi e persistenti.
Nelle aree siberiane interessate dalle fiamme, la temperatura media di giugno è stata circa dieci gradi più alta in confronto alla media del periodo 1981-2010.
In una nota della World Meteorological Organization (WMO) pubblicata a metà luglio, si parlava di “incendi senza precedenti” che nel solo mese di giugno avevano emesso 50 mega tonnellate (50 milioni di tonnellate) di CO2 nell’aria, che equivalgono alle emissioni totali di anidride carbonica della Svezia in un anno.
Il conto poi è salito nelle settimane successive: a prescindere dalle stime esatte su quante decine di mega tonnellate di CO2 finiranno nell’atmosfera a causa dei fuochi artici, i climatologi evidenziano che un evento di proporzioni così vaste non era mai stato osservato.
Gli incendi in Siberia sono frequenti in giugno e luglio, ma finora la loro portata era rimasta più circoscritta.
Ciò che sta accadendo in Russia, secondo gli esperti della WMO, conferma che il cambiamento climatico antropogenico – cioè provocato dalle attività umane, in particolare dall’uso di carburanti fossili – sta facendo aumentare l’intensità e la frequenza degli eventi “estremi”, come le ondate di calore e la siccità.
In una recente nota, infatti, la WMO spiega che luglio 2019 con ogni probabilità, al termine delle analisi più approfondite dei dati climatici, guadagnerà il titolo di mese più caldo della storia, più ancora di luglio 2016, quando però il fenomeno climatico periodico El Niño aveva condizionato in modo piuttosto pesante l’andamento delle temperature, cosa che invece non si è verificata nel 2019.
Anche giugno è stato il giugno più bollente di sempre, aggiunge l’Organizzazione meteorologica mondiale, tanto che il periodo dal 2015 al 2019 dovrebbe diventare il quinquennio più caldo mai registrato.
Ricordiamo che è appena uscito uno studio che ha smontato il principale argomento dei negazionisti del cambiamento climatico e cioè che la Terra ha già avuto epoche molto calde o molto fredde quando l’uomo era ancora ben lontano da quella rivoluzione industriale in cui avrebbe massicciamente impiegato carbone, petrolio e gas su scala globale.
Tuttavia, quei climi estremamente caldi o freddi avevano coinvolto porzioni limitate del nostro Pianeta e su archi temporali differenti, sfasati gli uni rispetto agli altri, al contrario del surriscaldamento attuale che riguarda la quasi totalità della superficie terrestre.
In altre parole: le temperature medie globali sono le più alte da 2.000 anni a questa parte e per la prima volta un periodo eccezionalmente caldo sta “avvolgendo” tutto il Pianeta nello stesso momento.
E gli incendi siberiani sono tra i numerosi effetti di tale incremento delle temperature, insieme con lo scioglimento dei ghiacci artici.
A metà giugno ad esempio c’è stato un evento record di scioglimento di superfici ghiacciate in Groenlandia, per un totale di circa 700.000 km quadrati (dati riportati dal National Snow & Ice Data Center americano, NSIDC). E questo evento è così preoccupante per le sue conseguenze che meriterebbe un approfondimento a parte.
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