Phase out carbone: corsa contro il tempo per il gas, ma ci sono scenari alternativi
L’avvio delle procedure autorizzative da parte di Enel per la realizzazione di quattro impianti a gas, che dovranno assolvere al post dismissione del carbone in Italia, sta facendo emergere diversi mal di pancia a livello locale e nazionale, peraltro anche politicamente trasversali.
Non piace, infatti, questa soluzione ad una parte degli esponenti della maggioranza, così come a quelli dell’opposizione.
Ad esempio per la conversione della centrale a carbone di La Spezia la deputata del Pd, Raffaella Paita, ha dichiarato che l’annuncio di Enel “non risolve le problematiche presenti sul territorio ed evidenzia un cambio di rotta rispetto al processo di superamento di questa realtà che era stato il risultato di un lavoro di concertazione territoriale e accelera nuovamente la necessità di affrontare definitivamente uno dei nodi più critici sul futuro della città”.
Ricordiamo che la centrale a carbone di La Spezia (600 MW) ha sempre creato notevoli preoccupazioni per la salute degli abitanti del capoluogo ligure. La centrale ha finora esercitato in base a un’autorizzazione Aia del 2013 che ha consentito un drastico abbattimento delle emissioni nocive e la cui scadenza è prevista per il 2021 e che teoricamente non dovrebbe essere rinnovata.
Sempre dal Pd, partito non contrario in genere all’uso del gas, c’è una interrogazione presentata dal deputato Gianluca Benamati ad inizio aprile per chiedere chiarimenti sulla metodologia applicata dal MiSE riguardo la stima dei margini di riserva in grado di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica in Italia. Si è ancora in attesa di una risposta.
Il punto è che si vorrebbe procedere rapidamente alle autorizzazione dei cosiddetti peaker a gas (3,2 GW di capacità) anche perché i tempi di realizzazione di queste centrali di medie dimensioni sono almeno di quattro anni.
E se guardiamo alla roadmap dello sviluppo di nuova potenza rinnovabili in Italia (55,4% sulla domanda elettrica al 2030) illustrata dal Piano Energia Clima (PNIEC) ci rendiamo conto che questo è tutto spostato nella seconda parte del prossimo decennio.
In particolare per il solare FV che dovrà passare da una potenza di 26,8 GW nel 2025 a 50,8 GW appena cinque-sei anni dopo, con una generazione elettrica da solare che dovrebbe così sfiorare i 75 TWh/anno dal 2030 (oggi è appena sotto i 23 TWh/anno) .
In totale le rinnovabili elettriche passerebbero dall’attuale potenza di circa 53,5 GW a 66,1 nel 2025 per poi registrare un balzo a 93,2 GW nel 2030.
Anche da questi grafici (tratti dalla proposta di PNIEC), che segnano la traiettoria della generazione di rinnovabili, si può notare l’incongruenza di una strategia che deve essere affiancata alla futura dismissione di impianti termoelettrici e che dovrebbe, al contempo, puntare alla decarbonizzazione del settore elettrico.
Da qui emerge l’insufficienza di capacità elettrica a metà del prossimo decennio in coincidenza con la prospettata chiusura del carbone (oggi tra il 12 e 16% della produzione elettrica nazionale) e la crescente “preoccupazione” di governo e operatori elettrici (Terna inclusa) che, per fare un quadro della situazione, si sono riuniti lo scorso venerdì 17 maggio al ministero dello Sviluppo Economico con il sottosegretario Davide Crippa e i rappresentanti del ministero dell’Ambiente. Il prossimo mese verrà affrontata anche la questione occupazione con un tavolo di confronto con i sindacati.
Il sottosegretario Crippa, che dice di lavorare per una soluzione con i gestori degli impianti e a iter autorizzativi con percorsi preferenziali, dovrebbe però coinvolgere in questo processo decisionale altri soggetti in grado di presentare un’alternativa alla sostituzione del carbone con l’altra fonte fossile, il gas, che l’attuale strategia sembra voler far diventare una scelta obbligata.
Se in 6 anni, cioè dal 2026 al 2030 si possono fare circa 26 GW aggiuntivi di rinnovabili, perché non puntare a farne subito, sempre in un lasso di tempo identico (2020-2025), almeno 20 GW, anziché i 13 programmati e trovarsi così meno scoperti e anche con benefici ambientali?
L’Italia non può diventare un hub del gas, una fonte i cui consumi nazionali restano in discesa: sono passati da 86,2 miliardi di mc del 2005 a 72,6 mld di mc (con cali fino a 62 mld di mc nel 2014): un calo del 16% in 13 anni.
Tra i diversi studi e analisi alternative all’uso del gas ricordiamo quello di REF-E dell’ottobre 2017 che definisce uno scenario di uscita dal carbone chiamato “WWF 2025”, report commissionato, appunt, dall’associazione ambientalista.
Lo scenario, che dovrà probabilmente essere aggiornato, prevede il phase out del carbone senza l’utilizzo di nuovi impianti termoelettrici a gas. Ecco cosa richiede in sintesi:
- contributo delle fonti rinnovabili alla copertura del consumo interno lordo elettrico del 49% al 2025, corrispondente a un obiettivo del 55% al 2030;
- realizzazione di 1.000 MW di accumuli al 2025 di cui 250 MW in Sardegna;
- partecipazione della domanda ai mercati elettrici per l’acquisizione di risorse di Demand Side Management (DSM);
- nessuna nuova realizzazione di capacità di generazione termoelettrica in sostituzione della capacità a carbone dismessa;
- realizzazione del programma di potenziamento della rete come previsto nel piano 2015-2025 di Terna;
- potenziamento della connessione Sardegna/continente con cavo da 1.000 MW.
La simulazione dello scenario e la valutazione degli indici adeguatezza del sistema, cioè la capacità del sistema di generazione e di trasmissione di coprire la domanda con adeguati margini di affidabilità in tutte le potenziali condizioni che si possono verificare, sono stati effettuati attraverso un modello di analisi REF-E.
L’impatto sulle tariffe elettriche finali rispetto allo scenario SEN inerziale è compreso tra lo 0,8 e il 2,1%, ma limitato al 2025. Inoltre si avrebbe una riduzione del costo complessivo degli approvvigionamenti fossili e di copertura dei diritti di emissione per circa 0,6 mld € di per anno al 2025 e 1 mld €/anno al 2030.
Lo scenario prevede, tra l’altro, minori costi di sviluppo di capacità a gas pari a 2 miliardi di euro comprensivi di 3.000 MW di ciclo combinato e per l’infrastruttura gas in Sardegna.
Continueremo a presentare scenari alternativi alla prospettiva di coprire i margini di riserva richiesti con il gas naturale, perché l’obiettivo non può che essere quello della decarbonizzazione del sistema energetico nazionale nel minor tempo possibile.
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