Power to gas: limiti e opportunità del metano prodotto dalle rinnovabili
Il metano è uno delle risorse “predilette” della Natura: viene prodotto ovunque e continuamente, da processi geologici, ma anche e soprattutto biologici.
Migliaia di specie batteriche, in luoghi tanto diversi come paludi o rumine delle vacche, digeriscono la materia organica emettendo come scarto questa semplice molecola composta da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno (CH4), altamente combustibile.
L’uomo finora per lo più ha usato il metano fossile accumulatosi nel sottosuolo per la decomposizione degli stessi resti organici che hanno prodotto il petrolio, e solo da pochi anni ha cominciato a fabbricarne di nuovo, con i digestori per il biogas.
Ma si può andare anche oltre, arrivando a fabbricare del vero e proprio metano sintetico, combinando dell’ossido di carbonio, ricavato dalla CO2, con dell’idrogeno ricavato dall’acqua, in presenza di catalizzatori.
Questo processo di sintesi non è una fonte energetica, consuma più energia di quanto ne produca, ma costituirebbe un sistema per immagazzinare elettricità rinnovabile intermittente, come da fonte solare o eolica, sotto forma di un combustibile già molto usato e senza aggiungere ulteriore CO2 in atmosfera.
Si tratta del cosiddetto Power-to-Gas, o PtG, un processo su cui chi progetta le future società al 100% rinnovabili conta moltissimo per rendere funzionante un sistema elettrico pesantemente sbilanciato su fonti non programmabili (sul potenziale di gas da fonti rinnovabili in Europa vedi il nostro articolo).
Dei limiti e possibilità di questo sistema di accumulo, parliamo con Simon Verleger coordinatore di ricerca sulle tecnologie PtG al Karlsruhe Institute of Technology, collaboratore del progetto europeo Store&Go, che sta testando tre diversi sistemi di PtG.
Dr. Verleger, quali sono i metodi che state testando?
Uno, a Falkenhagen in Germania, usa CO2 proveniente da un impianto a biomasse e idrogeno ricavato per elettrolisi con l’elettricità in eccesso di un impianto eolico. Il secondo, a Solothurn, in Svizzera, usa CO2 proveniente da un depuratore e idrogeno industriale per alimentare una coltura di batteri che trasformano i due gas in metano. Il terzo, a Troia, in Puglia, usa l’energia da fotovoltaico, per produrre idrogeno, mentre la CO2 viene estratta dall’aria con un processo inventato dalla società svizzera Climework (ne abbiamo parlato qui, ndr).
Perché usare batteri per produrre metano di sintesi, invece di reattori chimici?
I batteri, a differenza del catalizzatore per la sintesi del metano, non vengono rovinati dai contaminanti eventualmente presenti nei gas, come l’acido solfidrico, comune nella CO2 da biogas. Questo sistema si presta bene, quindi, come fase ulteriore dei processi di produzione di biogas o biometano, che già usano batteri in reattori, trasformando la CO2 di scarto in ulteriore metano, usando altri batteri. Bisogna però dire che i volumi di metano ottenuti in questo modo sono molto minori che con la sintesi chimica.
Il grosso problema del PtG è che consuma molta energia. Oggi il metano di sintesi contiene solo il 40% dell’energia usata per produrlo. Si può migliorare?
Parliamo di un processo di accumulo di energia, non di produzione energetica, e tutti questi processi hanno delle perdite. Comunque è vero che il processo oggi recupera meno della metà dell’energia di partenza, e questo soprattutto a causa della fase di produzione dell’idrogeno. Ma nuove tecniche, oggi in sperimentazione di laboratorio, portano l’efficienza fino all’80%. Inoltre le perdite di energia si verificano soprattutto come calore: se questo calore viene recuperato e utilizzato, per esempio per le case o le industrie intorno all’impianto PtG, ecco che l’efficienza aumenta subito.
Ma che senso ha sprecare altra energia per estrarre la molto diluita CO2 dell’aria, come state sperimentando in Puglia, quando ci sono sorgenti di CO2 concentrata, come i fumi delle centrali termiche?
È vero, quell’impianto produce il metano di sintesi più costoso, ma il punto è che stiamo sperimentando contemporaneamente più tecnologie per adattarci a ogni situazione, compresa quella dove non siano disponibili sorgenti concentrate di CO2. Inoltre pensiamo che l’estrazione di CO2 dall’aria in futuro diventerà molto più efficiente e che quelle tecnologie si riveleranno indispensabili per evitare un disastro climatico.
Ma perché non fermarsi allo stadio di produzione di idrogeno, che è un gas combustibile pulito, senza complicarsi la vita per produrre metano?
Come efficienza energetica, non c’è molta differenza fra produrre idrogeno o arrivare fino al metano: la fase dell’elettrolisi consuma 2-3 volte più energia di quella della metanizzazione. E il metano ha molte più applicazioni immediatamente utilizzabili, dai riscaldamenti, alle centrali elettriche, fino alle auto. Il bilancio finale costi-benefici lo faremo alla fine della sperimentazione, ma credo che la produzione di metano di sintesi sia la scelta giusta. Per salvare il clima della Terra bisogna infatti agire il più in fretta possibile e il PtG, consentendo di usare le infrastrutture esistenti, senza doverne costruire di nuove per utilizzare l’idrogeno, è la scelta più rapida.
Ci sono però altri sistemi per lo stoccaggio di energia a lungo termine: il pompaggio idroelettrico e l’aria compressa sono più semplici ed economici, mentre le batterie a flusso, dove si accumula elettricità chimicamente, sono molto più immediate nell’uso e più efficienti.
Per bilanciare il futuro sistema energetico europeo a rinnovabili servirà l’accumulo di decine di TWh di energia: su questa scala solo il PtG e il pompaggio sono all’altezza. Ma in Europa l’unica regione in grado di fornire abbastanza bacini idroelettrici è la remota Scandinavia, e servirebbero centinaia di nuovi impianti e lunghe linee di trasmissione. Non so se sarebbe economicamente conveniente. Inoltre il metano viene usato anche per scopi come la climatizzazione di decine di milioni di edifici o il trasporto stradale o navale, dove l’elettricità non è ancora molto diffusa: trasformare l’energia rinnovabile in metano di sintesi, permette anche di coprire subito questi settori, decarbonizzando più velocemente il sistema energetico.
Ma a che scala dovrebbe diffondersi il PtG, per avere un sistema europeo 100% rinnovabili?
Abbiamo condotto simulazioni su 55 scenari energetici per l’Europa con diversi livelli di penetrazione delle rinnovabili, tecnologie alternative di storage, tassazione, produzione servirebbero fra 40 e 660 GW di capacità di produzione PtG, con una necessità media di 1.400 TWh annui di elettricità e calore da metano di sintesi. Quindi un compito enorme, ma contiamo di fornire con la nostra ricerca i dati necessari a percorrere con la massima efficienza questa strada.
Se è così, sarà bene cominciare subito con il PtG. C’è qualche impianto già in funzione?
Ci sono già piccoli impianti dimostrativi di produzione di idrogeno o metano di sintesi per mezzi di trasporto, ma il primo grande impianto commerciale comincerà a funzionare a pieno regime nel 2022. Lo hanno annunciato da pochi giorni le società Gasunie, ThyssenGas e Tennet: sarà realizzato in Bassa Sassonia, avrà una potenza di 100 MW e funzionerà usando energia eolica offshore in eccesso e CO2 da centrali termiche, per produrre metano da immettere nei gasdotti.
Immagino ci saranno anche barriere non tecnologiche?
Abbiamo infatti capito, analizzando il panorama normativo, che oltre ai progressi tecnici, servono anche cambiamenti in leggi e tassazioni. Per esempio mancano definizioni di cosa sia un “metano rinnovabile” o se gli impianti PtG siano energetici o chimici. Il risultato di questi buchi normativi è che spesso il metano di sintesi finisce per essere tassato due volte, più di quello fossile, e se questa situazione non cambia il PtG non decollerà.
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