Quantifichiamo le perdite domestiche di metano
Il metano ti dà una mano… ma a cambiare il clima.
Certo la CO2 è il “cattivo” della storia, visto che costituisce l’85% delle emissioni di gas climalteranti del mondo, ma subito dietro arriva il metano (CH4), che pur essendo presente in atmosfera in una proporzione che è 200 volte minore di quella dell’anidride carbonica (1,9 parti per milione, contro le oltre 400 ppm della CO2), contribuisce a circa il 20% del riscaldamento avvenuto negli ultimi 100 anni.
La ragione è che il CH4 è un gas serra (cioè in grado di assorbire gli infrarossi emessi verso lo spazio dalla Terra scaldata dal Sole) 34 volte più potente della CO2 nei 100 anni dopo il suo arrivo in atmosfera (il metano in aria con il tempo reagisce con l’ossigeno e diventa esso stesso CO2).
C’è poi anche un’altra grande differenza fra CO2 e CH4: la prima dal 1750 ad oggi è aumentata in atmosfera del 41% (da 280 a 400 ppm), il metano è aumentato del 170% (da 0,7 a 1,9 ppm).
Quindi il suo contributo al riscaldamento globale cresce molto più velocemente di quello della sua più nota cugina.
In particolare, dopo una misteriosa pausa avvenuta fra 1990 e 2007, quando la sua concentrazione atmosferica è rimasta bloccata intorno alle 1,8 ppm, negli ultimi anni la crescita ha ripreso a galoppare.
Da dove viene tutto questo metano?
Ci sono naturalmente sorgenti naturali, in particolare quelle derivate dalla digestione batterica anerobica, in assenza d’aria, di materia organica: paludi (Alessandro Volta scoprì il metano proprio in un acquitrino), fondali marini, suoli, ultimamente anche il permafrost artico che si sta scongelando.
Ma naturalmente a fare la differenza sono le emissioni umane, dall’allevamento dei ruminanti, dalle risaie, dalle discariche, anche dagli impianti a biogas (sì, per quanto riguarda l’alterazione diretta del clima il “metano verde” non è meglio del fossile, anche se ha una funzione di “economia circolare”), e naturalmente dalle perdite legate all’estrazione e uso di combustibili fossili.
Una ricerca del 2012 (pdf) ha stimato in circa 350 milioni di tonnellate di CH4 (circa 5 volte i consumi italiani) le emissioni annuali dalle attività umane (più o meno quanto ne producono le fonti naturali): di queste circa 100 sono dovute all’allevamento, 73 all’estrazione di petrolio (è metano quello che viene bruciato accanto ai pozzi) e 36 all’estrazione di carbone (il grisù, che esplode nelle miniere, è in gran parte CH4).
Paradossalmente l’estrazione e distribuzione del gas naturale, ne rilascia in aria “solo” 26 milioni di tonnellate, forse perché per loro il CH4 è la merce, e non un fastidioso sottoprodotto.
C’è però da dire che una ricerca sulle emissioni Usa di CH4, apparsa su Science nel 2018, ha concluso che sono state finora molto sottostimate, e che andrebbero in realtà aumentate del 60%: se quei risultati fossero estrapolabili al resto del mondo, il contributo di petrolio, carbone e gas all’aumento di metano in atmosfera, sarebbe molto maggiore di quanto si creda oggi.
Il metano che fuoriesce dalle abitazioni
Un’altra sorgente sottostimata di emissioni di metano, l’ha scovata ora Marc Fischer, fisico dell’atmosfera al Lawrence Berkeley National Laboratory in California, verificando le perdite di metano presenti in 75 case “medie” del suo Stato, e poi estrapolando i risultati all’intera edilizia domestica californiana.
Come riportato su Environmental Science and Technology (in basso la ricerca in pdf) Fischer ha concluso che dalle case californiane fuoriescono ogni anno 35.000 tonnellate di metano, pari al 2% delle emissioni totali di questo gas della California e il 15% di quelle connesse al suo uso energetico.
Gran parte delle perdite avvenivano quando gli elettrodomestici (scaldacqua, fornelli, caldaie, asciugabiancheria, ecc.) non erano in uso, e solo il 30% circa, durante la fase di accensione e poi di funzionamento dei bruciatori.
«35.000 tonnellate di CH4 che sfuggono dalle case, sono molto di più di quanto si immaginasse», dice Fischer.
«In pratica ogni 3 anni le abitazioni californiane rilasciano tanto metano quanto ne è stato emesso in aria durante il famoso incidente dello stoccaggio sotterraneo di Aliso Canyon, che nel 2016 perse 100mila tonnellate di questo gas nel corso di 4 mesi».
La situazione californiana è paragonabile a quella italiana: i consumi sono simili, considerata la loro minore popolazione (60 miliardi annui di metri cubi in California, 71 noi). E come da noi gran parte del metano che utilizzano è di importazione (95% contro il 90% nostro), e un terzo va per usi domestici, mentre in Italia è il 40%, a causa soprattutto di un clima più freddo.
In Italia non esistono ricerche simili a quella di Fischer, ma considerando i nostri maggior consumi (+15%) e il maggior uso domestico in Italia (+25%), si può tentare di estrapolare questi risultati, stimando un rilascio di circa 50mila tonnellate di metano dalle nostre case.
Secondo l’Ispra (pdf) il 10% delle 428 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti emessi nel 2016, sono dovute all’azione del metano, quindi 43 milioni di tonnellate circa: essendo il fattore di conversione fra metano e CO2 a fini di effetto sul clima di 34, questo corrisponde a emissioni di metano in Italia per 1,3 milioni di tonnellate annue, delle quali le emissioni domestiche stimate corrispondono a circa il 4%
Per fare un confronto, questa percentuale è più del doppio delle perdite dalla rete di 32.000 km di gasdotti gestiti da Snam.
«Le infrastrutture di trasporto e stoccaggio del gas rappresentano solo l’1,8% delle emissioni totali di metano in Italia, pari allo 0,18% delle emissioni di gas serra nazionali, con un impatto molto limitato sul clima», ci dicono da Snam.
«Malgrado ciò l’industria del gas, consapevole dell’importanza della lotta al cambiamento climatico, sta promuovendo e implementando diverse misure di mitigazione del proprio impatto, ponendosi l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano del 25% al 2025. L’azienda è anche tra le firmatarie dei principi guida per la riduzione delle emissioni, sviluppati da numerosi player a livello mondiale fra cui Agenzia Internazionale dell’Energia, Rocky Mountain Institute e United Nations Environment Agency».
Comunque il 2% dalle case californiane o il 4% da quelle italiane, sono briciole rispetto alle emissioni totali.
«Non si tratta di grandi quantità, certo, a fronte di altre fonti come allevamenti, discariche o pozzi di petrolio – dice Fischer – però quella domestica è una fonte di metano che si può facilmente ridurre, aumentando anche la sicurezza delle case e riducendo la bolletta. Basterebbe ispezionare gli impianti domestici, per individuare e ripararne le perdite, e, quando serve, sostituire le caldaie e gli elettrodomestici più vecchi e usurati».
Questo nel breve termine, ma su quello lungo?
«Visti gli obbiettivi molto ambiziosi di riduzione delle emissioni che si sono dati sia la California che l’Europa, la strada è obbligata: ridurre prima e il più possibile l’uso del metano nelle case, sostituendolo con solare termico, pompe di calore, fornelli a induzione», conclude Fischer.
E forse, nel caso italiano, la raccomandazione si dovrebbe estendere anche a un altro uso su piccola scala del CH4, i trasporti: piuttosto che promuovere i mezzi a metano come ipotetica “transizione”, sarebbe meglio andare oltre al motore a scoppio passando direttamente all’elettrico.
La ricerca pubblicata su Environmental Science and Technology (PDF)
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