Se una carbon tax può servire anche a salvare le foreste
Una carbon tax per salvare le foreste amazzoniche (e più in generale tutti gli ecosistemi minacciati dalle attività umane come allevamenti, colture intensive, produzione di legname): è quanto stanno facendo la Costa Rica e la Colombia, grazie a un modello di fiscalità ambientale che potrebbe essere esportato in altre aree geografiche, secondo un articolo pubblicato su Nature.
Gli autori, Edward Barbier e Sebastian Troëng, che hanno firmato l’articolo insieme con i ministri dell’ambiente di Colombia e Costa Rica, rispettivamente Ricardo Lozano e Carlos Manuel Rodriguez, sostengono che una tassa sui combustibili fossili potrebbe aiutare a combattere il cambiamento climatico, generando risorse economiche da investire nella tutela delle foreste e nei progetti di riforestazione.
Si parla, infatti, di una “tropical carbon tax” volta a penalizzare l’uso di fonti energetiche convenzionali (gas, petrolio, carbone) per poi utilizzare i proventi della tassa, tutti o una loro parte, nelle iniziative con cui proteggere gli ambienti naturali a rischio nelle regioni tropicali, non solo foreste ma anche paludi, acquitrini, torbiere.
Si avrebbe così una situazione win-win con un duplice vantaggio: ridurre le emissioni inquinanti dei carburanti fossili e conservare (o ripristinare) gli ecosistemi che sono in grado di assorbire la CO2 dall’atmosfera.
La deforestazione, si legge nell’articolo, a livello mondiale può contribuire all’incremento delle emissioni di anidride carbonica al pari di grandi paesi come la Cina e gli Stati Uniti, perché la perdita delle foreste equivale alla perdita di enormi bacini naturali che stoccano la CO2.
E poi bisogna calcolare le emissioni derivanti dall’utilizzo della legna, per non parlare degli incendi dolosi volti a “liberare” vastissime aree tropicali e destinarle ad altri usi (allevamenti, piantagioni, ricerche minerarie e così via), incendi che a loro volta sprigionano enormi quantità di anidride carbonica.
Ridurre il tasso globale di deforestazione quindi è una misura essenziale, nell’ambito di una strategia climatica coerente con l’obiettivo di limitare a 1,5-2 gradi il surriscaldamento terrestre.
Dal 1997, spiega l’articolo su Nature, la Costa Rica impone una tassa del 3,5% sui carburanti fossili che ha finanziato un fondo per la tutela delle foreste nazionali; il fondo ha già distribuito circa 500 milioni di dollari alle comunità locali supportando progetti di conservazione e riforestazione.
Secondo gli autori, questo modello, unito ad altri fattori come la crescita dell’eco-turismo e l’espansione delle aree protette, ha permesso di invertire la tendenza alla deforestazione.
In Colombia invece è in vigore dal 2016 una carbon tax di 5 dollari per tonnellata di CO2; la devono pagare tutte le compagnie che producono-importano combustibili fossili nel paese.
I proventi, chiarisce poi l’articolo, sono ammontati a 148 milioni di dollari nel 2017 e 91 milioni di $ nel 2018 e hanno contribuito a finanziare un fondo che utilizza il 25% delle sue disponibilità finanziarie per varie iniziative ambientali: conservazione delle risorse idriche, tutela della biodiversità, lotta alla deforestazione illegale.
La tutela delle foreste è uno dei tanti modi per utilizzare i ricavi di una carbon tax; sempre in tema di gestione forestale, è bene ricordare che diverse ricerche sostengono che gli alberi dovranno certamente svolgere un ruolo crescente nel sequestrare il carbonio già presente nell’atmosfera, ma non potranno sostituire altre misure necessarie per ridurre le emissioni inquinanti dei vari settori (trasporti, agricoltura, industrie) attraverso l’aumento delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica.
L’imposizione di tasse sul carbonio rimane un punto molto controverso; sarebbe con ogni probabilità una soluzione ottimale per spingere gli investimenti in tecnologie pulite e tagliare le gambe alle fonti fossili, soprattutto se si imponesse un prezzo tra 50-100 dollari per tonnellata di anidride carbonica emessa, ma realizzare una politica del genere su scala europea o addirittura internazionale sarebbe molto complesso.
Tra l’altro, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, il valore medio della carbon tax nei 28 paesi che l’hanno già adottata nel mondo è pari ad appena 2 dollari/tonnellata.
Intanto la Germania ha approvato lo scorso novembre un meccanismo di carbon pricing basato su quote di emissione: si partirà da 10 euro per tonnellata di CO2 nel 2021, per poi salire gradualmente a 35 €/tCO2 nel 2025.
Il “vero” meccanismo di mercato partirà nel 2026 quando tutti i certificati/diritti all’inquinamento saranno messi all’asta, quindi il loro valore si formerà nell’incrocio tra domanda e offerta, entro un corridoio di prezzo minimo-massimo pari a 35-60 euro per tonnellata.
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