Tagliare le emissioni in Italia del 55%, una legge di iniziativa popolare
Il 14 febbraio è stata depositata presso la cancelleria della Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare “Almeno il 55%”.
La proposta ha l’obiettivo di far assumere al governo italiano l’obiettivo del 55% di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030, come proposto dalla presidentessa della Commissione europea Ursale Von der Leyen, target approvato a larghissima maggioranza anche dal Parlamento Ue.
Per aderire all’appello, per sostenere la campagna nazionale “Almeno il 55%” con iniziative nel tuo territorio, per la raccolta delle firme, invia nome, cognome, comune, telefono ed e-mail a: almenoil55percento@gmail.com.
Il sito web è: https://www.almenoil55percento/
Articolo a cura di Massimo Scalia e Gianni Mattioli
Il Piano Nazionale Energia Clima (PNIEC) del Governo italiano ha assunto un vergognoso obiettivo del 33% (settori non Ets) di riduzione dei gas serra al 2030, non modificato dal cosiddetto “Decreto clima” dell’ottobre scorso, mentre la neo-presidentessa dell’Ue, Ursula von der Leyen, propone di alzare al 50-55% il precedente obiettivo Ue del 40%.
Dopo gli spaventosi crolli della banchisa polare nell’estate 2019; dopo il rogo della foresta amazzonica, il “polmone verde” della terra, in nome degli interessi delle grandi compagnie agrario-alimentari; dopo le fiamme che hanno devastato per settimane l’Australia non c’è più tempo da perdere: battiamoci per almeno il 55%.
Esponenti ambientalisti e della società civile, scienziati, accademici, esperti e giornalisti lanciano un appello perché tutti i cittadini si mobilitino contro il riscaldamento globale, la “più grande minaccia di questo Secolo”.
Come strumento di mobilitazione, i firmatari dell’appello propongono una legge d’iniziativa popolare che assuma quell’obiettivo, prevedendo a tal fine un fondo speciale per realizzarlo.
Un fondo da finanziare da subito con la riduzione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) di cui ancora fruiscono, direttamente o indirettamente, i combustibili fossili (circa 19 miliardi di euro); e prevedendo per il seguito l’istituzione di una carbon tax.
L’appello: “Almeno il 55%”
“La più grande minaccia di questo secolo” – il cambiamento climatico, la transizione all’instabilità climatica – si sta delineando con eventi sempre più drammatici: a luglio scorso il National Snow and Ice Data Center (Nsidc) degli USA ha rilevato un picco terribile e inatteso nella curva che documenta l’andamento della fusione dei ghiacci artici in Groenlandia.
Abbiamo denunciato da qualche tempo le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatte su uomini e cose con l’intensità degli eventi meteorologici estremi, mentre si estendono le aree desertiche, cresce la siccità, si addensa negli ultimi vent’anni il numero dei massimi di temperatura media terrestre.
La calotta artica si è spaccata nel 2006 aprendo la caccia senza regole al suo sottosuolo, nel 2017 si è staccato dall’Antartide un “iceberg” più grande della Liguria. Le fiamme che hanno devastato per settimane l’Australia rappresentano drammaticamente e su vasta scala quel che succede quando l’incompetenza dei governi si somma con i fenomeni estremi del global warming.
Ci siamo battuti documentando e denunciando la più generale crisi ambientale: la devastazione di uno sviluppo fondato sulla spoliazione e il saccheggio delle risorse naturali, come conseguenza del modo capitalistico di produrre e consumare.
Esemplare, il nuovo odioso colonialismo del land grabbing, che attraverso i meccanismi della mera acquisizione di mercato priva intere popolazioni dei loro diritti, delle loro terre e delle loro acque senza dar loro nemmeno la possibilità di essere ascoltati o addirittura attraverso vere e proprie deportazioni. In America Latina, Asia e Africa sempre più grandi foreste, terre comunitarie, bacini fluviali e interi ecosistemi sono spogliati e le comunità sfollate.
Il rogo della foresta amazzonica è l’ultimo drammatico esempio, ammantato di un sovranismo in realtà prono agli interessi delle grandi compagnie agrario-alimentari.
La diversità biologica è costantemente ridotta, la grande barriera corallina australiana è a rischio nei suoi 3000 km.
Il respiro degli oceani è soffocato dalla plastica.
Abbiamo proposto in tutti questi anni la battaglia a favore dell’ambiente, contro il global warming e per una generale riconversione ecologica dell’economia e della società, come impegno sociale, culturale e morale. La “Laudato si’” di Papa Bergoglio ha messo in risalto gli aspetti umani e spirituali di questa nuova visione: «I governi di tutto il mondo, colpevolmente lenti nell’applicare il Protocollo di Kyoto (2005), oggi in ritardo nell’attuare gli impegni dell’Accordo di Parigi ratificati nel 2016 da 180 Paesi, devono accelerare la loro azione per fare più efficacemente fronte al cambiamento climatico e mantenere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C».
A pagare lo sconquasso del clima sono soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili, colpite dalle migrazioni interne o dalla fuga disperata dalle loro terre, da fame, sete e malattie endemiche, marginalizzate nei loro territori, spesso nel nome stesso dello sviluppo e dell’innovazione.
I rischi dovuti ai disastri ambientali accrescono tensioni e conflitti e nel 2017 hanno causato, da soli, l’esodo di 60 milioni di “rifugiati ambientali”, ma saranno quattro volte tanti nel giro di soli vent’anni.
Non si tratta solo dell’accoglienza e della sicurezza. Occorre “costruire ponti”, capaci di ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, tra l’opulenza e la povertà, come indicato dagli obiettivi globali dell’Agenda 2030 proposta dalle Nazioni Unite.
Occorre modificare il nostro stile di vita e il nostro modo di pensare se vogliamo dare futuro al futuro. Fare di più con meno e trasformare i rifiuti in nuovi prodotti com’è tecnologicamente possibile: “dalla culla alla culla”. Organizzare la società della sufficienza affinché ogni risorsa sia utilizzata senza sprechi e nel modo più appropriato fino all’autogestione.
E, da subito, “decarbonizzare” l’economia sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili.
Serve, soprattutto, che la cultura della sostenibilità si diffonda nel profondo della società e in tutte le sue attività, in modo che le idee di progresso e di futuro siano fondate sulla continua ricerca del completo equilibrio con i grandi cicli della natura.
Oggi finalmente una voce si leva autorevole per imprimere un’accelerazione agli impegni dei Governi, almeno qui in Europa.
La neo-presidentessa della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha proposto al Parlamento europeo a Strasburgo l’obiettivo di riduzione del 50-55% di CO2, il gas serra dominante, entro il 2030 facendo così balzare a quel livello il target dell’Ue. E, conseguentemente, di mantenere «un ruolo di guida dell’Ue nei negoziati internazionali per far crescere il livello di ambizione delle altre principali economie entro il 2021». Come si è verificato lungo tutto il percorso che ha portato all’Accordo di Parigi.
Il Governo italiano continua a perseguire un atteggiamento vergognosamente caudatario; infatti, mentre il Quadro per il Clima e l’Energia 2030 dell’Ue prevede, fin dal 2014, la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, ha proposto nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) un obiettivo di solo il 33% (per i settori non Ets). Il Pniec è stato sottoposto alle osservazioni di tutti i cittadini tramite la Valutazione Ambientale Strategica (Vas).
Noi, le associazioni, i comitati e i gruppi che rappresentiamo, facemmo pervenire le nostre osservazioni nell’ottobre scorso, secondo quanto previsto dalla procedura di Vas. E abbiamo preso atto che il Governo non ha ritenuto di darsi un obiettivo adeguato né con il “Decreto Clima” (ottobre 2019) né con la revisione del Pniec effettuata a seguito della Vas.
Riteniamo, perciò, che debba attuarsi in tutto il Paese la più ampia mobilitazione possibile perché il Piano sia modificato assumendo l’obiettivo di almeno il 55% di riduzione delle emissioni dei gas serra entro il 2030, com’è tecnologicamente possibile.
Al di sotto, saremmo come i Paesi di Visegrad nei confronti dell’immigrazione, non a caso le maggiori resistenze alla “decarbonizzazione” provengono da alcuni di loro in nome del miope privilegio degli “interessi nazionali”. E, soprattutto, non saremmo all’altezza della tremenda sfida e delle responsabilità che il cambiamento climatico impone a tutti.
Per favorire questa mobilitazione e per darle il carattere capillare di confronto con cittadini, organi territoriali elettivi, istituzioni ed enti pubblici, organizzazioni del lavoro, luoghi di socializzazione, organi d’informazione, proponiamo una legge d’iniziativa popolare che assume per l’Italia l’obiettivo di riduzione dei gas serra di almeno il 55% entro il 2030; indica nell’istituzione della carbon tax il mezzo ordinario per coprire la spesa pubblica finalizzata a quell’obiettivo e promuove, già dalla legge di stabilità 2021- 2023, la riduzione di ogni forma diretta o indiretta di finanziamento ai combustibili fossili, che il Governo stesso classifica come Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad), e agli Enti e alle Società che li gestiscono, inclusa la “capacità di generazione” di energia da combustibile fossile.
Coerentemente, l’articolato della PdL – che riguarda anche l’education a tutti i livelli, Università inclusa, e la ricerca – prevede tra gli altri punti che il Governo italiano s’impegni nelle competenti sedi internazionali per una “moratoria” mondiale dei combustibili fossili.
La raccolta di firme per la presentazione della legge può costituire un momento d’informazione e, allo stesso tempo, sollecitare un protagonismo consapevole ed esteso di tutti, quale la drammaticità dei tempi richiede.
L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2020 della rivista bimestrale QualEnergia
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