“Tankering”, così per risparmiare le compagnie aeree emettono ancora di più
Le linee aeree hanno risposto negli anni alla elevata “volatilità” del settore con un’ondata di consolidamenti, fusioni, acquisizioni e alleanze. Ciò nonostante, il settore dell’aviazione civile continua ad essere caratterizzato da un alto rischio e margini bassi.
Ogni minima fonte di risparmio aiuta quindi molto. È in questa logica di costante ricerca dell’ottimizzazione dei costi che rientra il cosiddetto “tankering,” cioè l’abitudine delle compagnie aeree di volare con carburante extra nei serbatoi. Solo che adesso, i top manager del settore cominciano a ritenere che forse non ne valga più la pena, soprattutto per l’impatto climatico che tale pratica ha.
Le linee aeree tendono a volare con più carburante del necessario rispetto alle tratte percorse per due ragioni principali: come qualunque automobilista attento al portafoglio, cercano di fare il pieno dove il carburante costa meno. Per esempio, all’aeroporto di Amsterdam Schiphol, il carburante per jet è circa il 55% più economico rispetto alla Corsica. Fanno dunque rifornimento dove costa meno, anche se non avrebbero bisogno di così tanto carburante per la tratta o le tratte successive.
In altre occasioni, il tankering consente alle linee aeree di ridurre i tempi di cambio negli aeroporti ed evita loro di fare il pieno dove per i rifornimenti si impiega più tempo, come farebbe un comune automobilista per evitare lunghe file alla stazione di servizio.
Si calcola che il 30% di tutti i voli in Europa ricorra ad un tankering totale o parziale.
Ma nonostante l’attenzione a ogni minimo costo, i risparmi offerti da questa pratica sono abbastanza risicati. Secondo una recente indagine di BBC Panorama, su almeno un volo di British Airways verso l’Italia, l’aereo aveva in pancia circa 3,3 tonnellate di carburante aggiuntivo, per risparmiare appena 45 euro.
Le compagnie aeree sostengono che è la somma che fa il totale, cioè che anche risparmi così piccoli alla fine consentono loro di mantenere bassi i prezzi dei biglietti. Ma il tankering stesso, oltre a far risparmiare qualche soldo sul pieno o sui tempi di rifornimento, provoca a sua volta maggiori consumi, dovuti al maggiore peso trasportato. Ogni 100 chili aggiuntivi di carburante trasportato, infatti, fanno bruciare ai motori di un aereo quattro chili di carburante in più.
Ciò, oltre a diminuire il risparmio finanziario netto del tankering, provoca anche un aumento non necessario delle emissioni di gas serra. Nel caso del volo British verso l’Italia, Anche se le 3,3 tonnellate di carburante extra trasportate in volo hanno consentito di risparmiare qualche centesimo al chilometro, hanno anche provocato l’emissione di 600 chili di CO2 in più.
Secondo un recente rapporto di Eurocontrol, in tutta Europa, il tankering fa risparmiare alle compagnie aeree 265 milioni di euro l’anno, emettendo però 993.182 tonnellate di CO2 aggiuntive nell’atmosfera – le stesse emissioni annuali di oltre 200.000 auto.
In un momento in cui i viaggi aerei sono al centro dell’attenzione per l’elevato impatto che hanno sul clima, una pratica come il tankering rischia di mettere ulteriormente in imbarazzo il settore. Alcuni top manager si stanno cominciando a chiedere se ne valga la pena e a metterne in discussione il valore.
“Continuiamo a fare tankering ma ci chiediamo noi stessi se sia sostenibile e se non sia il caso di incorporare nei nostri calcoli l’impatto ambientale,” ha dichiarato Willie Walsh, Amministratore Delegato di International Airlines Group, a The Guardian. “Chiaramente, i risparmi finanziari sono un incentivo a continuare, ma forse è la cosa sbagliata da fare,” ha aggiunto il top manager del gruppo che controlla compagnie come British Airways ed Iberia, e che si è impegnato ad azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050.
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