Trivelle in Italia, le luci e le ombre del piano del governo
È stato fatto un passo in avanti verso il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI), lo strumento normativo che individua le aree dove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nel territorio nazionale.
Il 28 febbraio si è svolto, infatti, il primo incontro tecnico tra il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) e il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, per la predisposizione del Piano, previsto dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12, con l’obiettivo di approvarlo entro 18 mesi.
Non si è fatta però attendere, come vediamo più avanti, la reazione del Coordinamento nazionale No Triv e delle associazioni ambientaliste.
Il PiTESAI – spiega il MiSE – è uno strumento normativo che definisce il quadro di riferimento, condiviso con Regioni, Province ed Enti locali, per la programmazione delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale. Il Piano intende valorizzare la sostenibilità ambientale e socio-economica delle diverse aree, annullare gli impatti derivanti dalle attività upstream e accompagnare il processo di decarbonizzazione.
L’adozione del Piano semplifica, inoltre, l’individuazione delle aree idonee per lo svolgimento delle attività da parte degli operatori.
Cosa prevede lo strumento normativo
Fino all’adozione del Piano – si legge nella nota stampa ministeriale – sia i permessi vigenti di prospezione o di ricerca di idrocarburi, liquidi e gassosi, su terraferma e in mare, che i procedimenti amministrativi, compresi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi, vengono momentaneamente sospesi, con conseguente interruzione di tutte le attività di prospezione e ricerca in corso di esecuzione, fermo restando l’obbligo di messa in sicurezza dei siti interessati dalle stesse attività.
Riprenderanno efficacia solo nelle aree in cui tali operazioni risulteranno compatibili con le previsioni del Piano stesso.
Nelle aree non compatibili il MiSE rigetterà le istanze relative ai procedimenti sospesi e revocherà i permessi di prospezione e di ricerca in essere.
Stessa sorte per le istanze relative ai procedimenti di rilascio delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi, il cui permesso non sia stato autorizzato entro la data di adozione del PiTESAI.
Nelle aree in cui le attività di coltivazione risultino incompatibili – prosegue il MiSE – le concessioni manterranno la loro efficacia fino alla scadenza e non saranno prorogate.
Previsto dal Piano anche un aumento di 25 volte dei canoni annuali per le concessioni di attività petrolifere dal 1° giugno 2019.
Il piano deve tener conto – precisa il MiSE – di tutte le caratteristiche territoriali, sociali, industriali, urbanistiche e morfologiche, con particolare riferimento all’assetto idrogeologico e alle vigenti pianificazioni.
Per quanto riguarda le aree marine, si terrà conto principalmente dei possibili effetti sull’ecosistema, nonché delle analisi delle rotte marittime, della pescosità delle aree e della possibile interferenza sulle coste.
Nel PiTESAI devono inoltre essere indicati tempi e modi di dismissione e rimessa in pristino dei luoghi da parte delle relative installazioni che abbiano cessato la loro attività.
Il piano è infine adottato previa valutazione ambientale strategica (VAS) e, limitatamente alle aree su terraferma, d’intesa con la Conferenza unificata.
Qualora per le aree su terraferma l’intesa non sia raggiunta entro 60 giorni dalla prima seduta, la Conferenza unificata è convocata in seconda seduta su richiesta del MiSE entro 30 giorni. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa – si legge nella nota ministeriale – entro il termine di 120 giorni dalla seconda seduta, ovvero in caso di espresso e motivato dissenso della Conferenza unificata, il PiTESAI è adottato con riferimento alle sole aree marine.
Le contestazioni dei NO Triv
Sui contenuti del Piano, come detto, è stata dura la reazione su del Coordinamento nazionale No Triv, che contesta in primo luogo il nome scelto per lo strumento normativo. “Il piano è volto a valorizzare la sostenibilità ambientale. Questa è la prima contraddizione: il piano ci dice dove si possono eseguire le attività di ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi, non si capisce quindi perché è chiamato piano per la transizione energetica. Semmai le aree sottratte al piano favorirebbero la transizione energetica”.
I No Triv evidenziano poi altri limiti del Piano, come la sospensione che riguarda solo le attività di ricerca, non quelle di estrazione. Queste ultime continueranno a prescindere se l’area sarà considerata o meno idonea dal piano.
Se infatti l’area non sarà considerata idonea, l’estrazione continuerà fino alla scadenza della concessione, argomentano.
E sulle proroghe alle concessioni affermano: “questa legge doveva porre rimedio al problema delle proroghe automatiche, invece le tira volutamente fuori”.
Altra criticità evidenziata è sull’aumento dei canoni, a cui non corrisponde un aumento delle royalty per le attività già in essere. “L’aumento dei canoni, come dice la stessa legge, serve per sostenere le spese per la predisposizione del piano e per far fronte ai prevedibili ricorsi”, spiegano i No Triv.
Sulla questione delle royalty si esprimono anche le associazioni ambientaliste: “Il settore delle trivellazioni in Italia è ampiamente favorito dai meccanismi fiscali spiegano in una nota congiunta Greenpeace, Legambiente e WWF e nel nostro Paese le aziende estrattive a mare non pagano royalty entro gli 80 milioni di metri cubi standard di gas ed entro le 50.000 tonnellate di petrolio, mentre a terra non si pagano le royalty entro i 25 milioni di metri cubi standard di gas ed entro le 20.000 tonnellate di petrolio”.
In merito al Piano affermano: “Più che una moratoria abbiamo un timeout, una breve sospensione di soli 18 mesi, giusto per tirare il fiato. Si tratta di un primo passo avanti, ma il percorso per rendere l’Italia libera dalle trivelle ha bisogno di interventi più incisivi per superare le norme pro-fossili ereditate dalle passate legislature”.
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