Una batteria litio-aria italiana verso il “Santo Graal” dello storage
In fondo fare batterie è un po’ come cucinare: si tratta soprattutto di scegliere bene gli ingredienti giusti. Quelli principali sono due, e consistono in un elemento che ama molto gli elettroni, e uno che li ama meno: mettendoli vicini il primo li strappa al secondo, e se si riesce a incanalare gli elettroni “rubati” in un circuito elettrico esterno, ecco che abbiamo prodotto elettricità.
La lista degli ingredienti a disposizione degli chef delle batterie si chiama “tabella di elettronegatività”, dove i numeri crescono con la “fame di elettroni”. Maggiore è la differenza di elettronegatività fra una coppia di elementi scelti , e maggiore sarà il voltaggio fra loro, e quindi l’energia della batteria.
Si vede subito che gli elementi meno elettronegativi, quelli che formano l’anodo di un accumulatore, sono quelli del gruppo del litio, e visto che questo è anche l’elemento solido più leggero, ecco che si spiega perché questo elemento sia praticamente la scelta obbligata per le batterie più performanti.
La sorpresa viene però guardando i suoi potenziali compagni di ricetta, i “ruba elettroni” del catodo: in genere nelle batterie non si scelgono quelli più forti, ma si accoppia il litio con elementi come ferro e cobalto, soprattutto perché comuni, solidi e stabili, rinunciando a una parte delle massime prestazioni teoriche di queste batterie.
Per le applicazioni elettroniche delle batterie al litio, questa ricetta può anche bastare, ma i suoi limiti cominciano a pesare, ora che servono accumulatori più performanti per i veicoli elettrici.
Si potrebbe pensare di fare catodi con gli elementi più elettronegativi, fluoro e cloro, che però sono gas velenosi e corrosivi: una batteria litio-fluoro sarebbe un incubo ingegneristico.
Ma ecco il colpo di scena: subito dopo i due gemelli terribili, l’elemento più elettronegativo è l’ossigeno, il gas in cui siamo immersi!
Quindi si può immaginare una batteria litio-ossigeno atmosferico in cui catodo sarebbe costituito non da pesanti metalli, ma dall’aria stessa: un dispositivo potentissimo e leggerissimo, il Santo Graal del settore.
E in effetti ci stanno lavorando in tanti a questa superbatteria, ma pochi sanno che uno dei gruppi meglio posizionati in questa corsa si trova in Italia, all’Università di Bologna. Qui è nata Bettery, una società spin-off dell’ateneo, che ha proprio come obiettivo di portare sul mercato la batteria semi-solida litio/ossigeno a flusso, chiamata Nessox e coperta da brevetto.
Partendo da un prototipo di laboratorio che ha mostrato una densità di energia circa doppia rispetto a quella dei migliori accumulatori al litio commerciali, intorno ai 500 Wh/kg, il team Bettery, composto da Francesca Soavi , Francesca De Giorgio, Alessandro Pastore, Alessandro Brilloni e Federico Poli, sta ora mettendo a punto la tecnologia.
Anche a causa della mancanza in Italia di strutture pubblico-private di supporto ai progetti tecnologici promettenti a lungo termine, i fondi dello sviluppo di Nessox derivano per ora in buona parte da una fonte particolare: la lunga serie di premi, italiani ed europei, che Bettery ha vinto grazie alla sua idea.
L’ultimo di questi, da 50mila euro, è uno dei più prestigiosi: il premio Gaetano Marzotto “Dall’Idea all’Impresa”, vinto a fine 2018. “Un capitale che, tuttavia, non è sufficiente per portare Nessox a uno stadio di prototipo industriale. Per fare questo, serviranno finanziamenti pubblici e privati ben più consistenti, che stiamo cercando di raccogliere”, dicono a Bettery.
In effetti, Nessox è un tipo di batteria così originale, un mix fra una batteria a stato solido e una a flusso (dove catodo e anodo sono liquidi, e scorrono ai due lati di una membrana), che per svilupparla serviranno tempo e risorse.
In Nessox c’è un anodo solido di litio metallico, separato da una membrana da un catolita (catodo liquido), costituito da un liquido organico contenente particelle carboniose e ossigeno disciolto che fluisce continuamente nel comparto dove avviene la reazione litio-ossigeno.
La configurazione a flusso della batteria permette di mitigare uno dei principali problemi delle batterie litio-aria: la formazione di perossido di litio, composto molto stabile che si deposita sul catodo formando uno strato isolante, portando alla repentina perdita di capacità della batteria. In Nessox, i perossidi si formano sulle particelle carboniose, che vengono portate via dal flusso limitando il loro deposito sul collettore di corrente.
Da risolvere ancora, invece, un altro grosso problema delle batterie litio-aria, quello che nell’atmosfera non c’è solo ossigeno, ma molti altri gas, alcuni dei quali, per esempio la CO2, possono reagire con il litio. Per questo i prototipi di queste batterie vengono alimentati con bombole di ossigeno puro, una soluzione però difficile e inefficiente, per l’uso su veicoli.
Elaborare un sistema per separare l’ossigeno dell’aria dal resto, garantendo anche un afflusso adeguato del gas nel catodo, è un difficile passo che tutti i team che lavorano su queste batterie, stanno affrontando. Ma per ora a Bettery non si sbilanciano sulle soluzioni a cui stanno pensando.
In compenso, sottolineano una interessante possibilità di miglioramento consentita dalla loro batteria, rispetto a quelle convenzionali: la possibilità di rendere liquido anche l’anodo, per esempio disperdendo della polvere di litio metallico in un elettrolita organico.
“Questo consentirebbe di ‘rifornire‘ una batteria scarica, facendo il pieno di nuovo liquido, evitando del tutto i lunghi periodi di ricarica. Il liquido esaurito verrebbe invece inviato a impianti che rigenererebbero il litio in forma metallica, tramite elettricità rinnovabile. Questo sì che rivoluzionerebbe la mobilità elettrica!”, spiegano i ricercatori.
Inoltre se il litio è indispensabile per batterie destinate a muoversi, per quelle stazionarie Nessox potrebbe essere adattata all’uso di elementi più pesanti e meno performanti, ma anche più economici e comuni del litio, come il sodio o il magnesio.
Anche in questo caso avere una batteria con anodo liquido, permetterebbe di risolvere il grave problema dello storage stagionale di elettricità, per esempio spostare all’inverno l’abbondanza di elettricità solare estiva: il liquido anodico potrebbe essere prodotto e accumulato a tonnellate in serbatoi nel periodo di eccesso di produzione rinnovabile, per poi utilizzarlo in centrali apposite, quando sole o vento mancano. Una sorta di petrolio elettrochimico, insomma.
“Sì, certo, anche questo è possibile, solo, dateci tempo: secondo la road map per gli accumulatori della UE, gli accumulatori litio-aria non entreranno in commercio prima del 2030. Noi contiamo di fare anche prima, presentando, entro la metà del prossimo decennio, una bicicletta elettrica alimentata con la nostra prima batteria Nessox” concludono i ricercatori del team Bettery.
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