Veicoli e bus elettrici: favorirne l’uso e creare un comparto industriale nazionale
Finalmente si apre qualche spiraglio nella transizione verso la mobilità elettrica in Italia.
Il mercato dà piccolissimi segnali di risveglio. Nel primo semestre 2018 sono stati immatricolati 2.252 veicoli elettrici, oltre il doppio in confronto ai numeri registrati nel medesimo periodo dell’anno prima (+124%). Ma parliamo ancora di una quota marginale, lo 0,2% del mercato.
La creazione della piattaforma Motus-E per accelerare la diffusione della mobilità elettrica con il coinvolgimento di industrie del settore, università, consumatori e ambientalisti, rappresenta un segnale molto importante di riflessione e di stimolo.
Per un reale cambio di marcia occorre un ruolo decisivo da parte del governo. Come si sa, il vicepremier Di Maio ha indicato l’obiettivo di 1 milione di auto elettriche entro il 2022.
È possibile raggiungere questi numeri e come? Ricordiamo che la Germania puntava allo stesso obiettivo per il 2020 ed è ben lontana da questi valori, malgrado la recentissima accelerazione che potrebbe consentirle già quest’anno di diventare il terzo mercato mondiale dopo Cina e Usa.
La California, dopo aver mancato in passato target ambiziosi, adesso ha rilanciato puntando a 5 milioni di auto elettriche nel 2030.
Un elemento centrale nella riuscita di questi programmi riguarda gli incentivi che si mettono in campo. Così, grazie a generosi sussidi, sulle strade della Norvegia circolavano alla fine del 2017 ben 207.000 auto elettriche, rendendo credibile l’obiettivo di non vendere più auto a benzina o a diesel dal 2025.
Il calo del prezzo delle batterie e l’aumento della produzione di veicoli elettrici preannuncia una vera rivoluzione, che presenta straordinarie opportunità ma che può anche trasformarsi in una occasione persa.
Il governo italiano deve dunque muoversi in modo intelligente. Non parliamo solo delle incentivazioni all’acquisto, ma anche delle infrastrutture di ricarica, delle agevolazioni a livello urbano e dell’avvio di un’ambiziosa politica industriale sul fronte della manifattura.
Partiamo dagli incentivi. In Europa questi oscillano nella banda tra quattro e diecimila euro a veicolo, a cui si aggiungono altre facilitazioni. Un sostegno destinato a ridursi gradualmente nel tempo.
Secondo BNEF alla metà del prossimo decennio le auto elettriche potrebbero infatti arrivare a costare meno di quelle convenzionali. Senza dimenticare che, considerato il minor costo di funzionamento, il vantaggio dell’elettrico arriverà ben prima.
Sarà dunque importante che venga alzato l’obiettivo 2030 proposto dalla Commissione (30% gCO2/km in meno rispetto al 2021), come richiesto anche dal nuovo governo italiano. In questo modo sarà necessario aumentare il numero delle auto elettriche vendute.
Alla luce delle prevedibili dinamiche dei prezzi, si potrebbe ritenere più conveniente aspettare 3-4 anni prima di avviare una seria campagna di incentivazione. In realtà, partire subito garantisce almeno due benefici collaterali.
Il primo riguarda la rapidità e l’estensione della rete di ricarica, due elementi strettamente collegati alla creazione di un mercato interno di dimensioni crescenti. Su questo fronte, una buona notizia viene dalla pubblicazione, dopo continui rinvii, del decreto che dovrebbe garantire investimenti per 72 milioni.
La seconda ricaduta, più importante, riguarda la possibilità di avviare un’importante produzione nazionale. Come è noto FCA, che aveva per decenni mantenuto una posizione critica nei confronti dell’elettrico, nel piano annunciato a giugno ha previsto l’abbandono del diesel entro il 2021 e investimenti per 9 miliardi entro il 2022 nell’elettrico. L’attuale fase di incertezza dopo la scomparsa di Marchionne non consente di capire in quali stabilimenti si articolerà il passaggio annunciato dal manager. Inoltre altri attori potrebbero entrare in campo. Insomma, la situazione attuale è di grande incertezza.
In questo contesto, il governo dovrebbe svolgere un ruolo importante di orientamento. Intanto, alimentando la domanda, un elemento decisivo per attirare capitali, come dimostra il fatto che nell’ultimo anno in Cina, dove ci sono quote di elettrico obbligatorie, sono stati annunciati investimenti per 21,7 miliardi di euro nella produzione di veicoli elettrici, mentre in Europa gli impegni sono stati solo per 3,2 miliardi. In secondo luogo creando le condizioni per l’insediamento di centri produttivi nel paese.
Si è infatti aperta una partita delicata, con posti a rischio, ma anche con interessanti opportunità. Secondo uno studio di Cambridge Econometrics, il passaggio verso l’elettrico nella UE, se ben gestito, potrebbe creare 206.000 posti di lavoro netti entro il 2030.
Il mondo delle batterie, un settore dominato dall’Asia, recentemente ha visto un risveglio di interesse anche in Europa, con un mercato che potrebbe raggiungere una dimensione annua di 250 miliardi a partire dal 2025 e che necessiterebbe di 10-20 grandi centri di produzione nel Continente. La Commissione spinge molto per la creazione di imprese europee e, in effetti, qualcosa si sta muovendo. I primi stabilimenti sono previsti in Svezia, Finlandia, Polonia, Ungheria e ovviamente in Germania dove diversi sono i progetti in campo.
Terra E ha creato un consorzio di 17 imprese per realizzare una Gigafactory da 34 GWh, la BMW ha annunciato un accordo con la cinese CATL, mentre Daimler sta costruendo un proprio stabilimento.
Come si vede, sono due i fronti che il governo italiano dovrebbe affrontare sul lato manifatturiero, quello della produzione di veicoli elettrici e quello delle batterie. E ci sono delle nicchie nelle quali è possibile intervenire immediatamente.
Partiamo con la produzione di autobus elettrici
Il trasporto pubblico urbano su gomma è un settore in crisi, con pochi mezzi, in larga parte vecchi e inquinanti.
Il numero degli autobus è calato dalle 58.000 unità del 2005 alle 50.000 del 2015 e sono diminuiti anche i passeggeri. L’età media è di 11,4 anni contro la media europea di 7 e un quarto dei mezzi è in Classe 2 o inferiore.
L’avvio di un piano nazionale straordinario per la diffusione di bus elettrici consentirebbe di fornire un servizio più efficace ai cittadini e di migliorare la qualità dell’aria. Inoltre, se ben gestito, favorirebbe la creazione di una seria industria nazionale del settore.
Per capire cosa sta succedendo nel mondo, osserviamo gli sbalorditivi risultati degli ultimi anni. La quasi totalità degli autobus elettrici in circolazione è cinese. Parliamo di oltre 400.000 mezzi. Ci sono megalopoli come Shenzhen dove il 100% della flotta, oltre 16.000 bus, è completamente elettrificata.
Ma anche in Europa la corsa è partita. Secondo una recente stima dell’UITP, l’Associazione Internazionale del Trasporto Pubblico, nel 2025 il 41% dei bus europei sarà a trazione elettrica e il 17% a metano/biogas.
Una spinta importante viene dalle città. Parigi intende avere l’80% dei propri bus a trazione elettrica entro il 2025 e oltre 100 città europee hanno deciso di puntare sull’elettrico.
Milano vuole acquistare solo autobus elettrici a partire dal 2020. Torino, Milano, Bergamo e Bolzano hanno iniziato questo percorso, ma con mezzi provenienti dalla Cina (Byd) e dalla Polonia (Solaris).
La nostra industria è però debole e in declino e non sembra riuscire a competere, anche se qualcosa inizia a muoversi.
Industria Italiana Autobus (Iia), nata nel 2014 dalla fusione dell’ex Irisbus e della Breda Menarini di Bologna, ha qualche versione elettrica tra i suoi modelli. Ma pur avendo vinto diversi appalti è in difficoltà, tanto che il governo ha recentemente rafforzato la parte pubblica nel capitale.
Iveco ha puntato molto sul metano, ma recentemente ha avviato anche produzioni di bus elettrici. Il gruppo delle rinnovabili Enertronica avrebbe inoltre intenzione di rilevare Tecnobus, l’azienda di Frosinone che ha venduto negli ultimi venti anni 500 minibus elettrici.
L’Italia potrebbe dunque ritrovare un ruolo con un rilancio della domanda di bus elettrici e con uno sforzo deciso sul versante produttivo.
Come sta facendo la Polonia, che ha deciso di dotare le proprie città di 1.000 bus elettrici entro il 2020 e di favorire la produzione locale con l’azienda Solaris molto attiva anche a livello internazionale.
Per adeguare agli standard europei la nostra flotta di bus si dovrebbe innanzitutto rilanciare una domanda qualificata di bus elettrici, e in parte a biometano, destinando oltre 1 miliardo l’anno a questo scopo.
Una scelta che, accompagnata da misure sulla ricerca e l’innovazione, potrebbe far rinascere in breve tempo il comparto italiano con ricadute interessanti sia dal punto di vista economico che occupazionale. Un piccolo tassello di una più ampia strategia in grado di affrontare la sfida dell’elettrico, evitando il rischio tra qualche anno di dipendere da modelli cinesi o di altri paesi.
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